VII COMMISSIONE
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Audizione del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

sedute del
10 luglio 2001
17 luglio 2001


Seduta di martedì 10 luglio 2001

La seduta comincia alle 11.35.
 


Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Cosi rimane stabilito).
 


Audizione del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero. Esprimo personalmente, e a nome di tutta la Commissione, gli auguri di buon lavoro al ministro.
Nel programma, condiviso da tutti gli schieramenti, dall'Ulivo alla Casa delle Libertà, si fa sempre riferimento alla circostanza - è stato fatto sia nel 1996, sia nel 2001 - che l'Italia è un paese assai strano: la sua storia, la sua tradizione e le sue attitudini secolari ci consegnano un patrimonio prezioso, anche economico, oltre che storico e culturale. Tutti gli schieramenti si ripropongono, prima di chiedere il voto, di fare in modo che la cultura diventi un'attività capace di riscoprire un primato italiano, che abbia a che fare sia con l'immagine, con il prestigio e con la cultura, sia con lo sviluppo del paese, soprattutto nelle sue aree più depresse: questo è il programma che tutti i Governi desiderano portare avanti.
In questo caso, non ritualmente e spero non rassegnato, l'augurio che la Commissione rivolge al ministro è di lavorare attivamente in questa legislatura, indipendentemente dai «colori» politici, per realizzare qualcosa nella direzione auspicata da tutti gli schieramenti, recuperando un primato italiano che possa essere anche motivo di sviluppo, oltre che un legame tra passato e futuro.
Con questo augurio, do la parola al ministro Giuliano Urbani per lo svolgimento della sua relazione.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Grazie, presidente. Non presenterò né un programma dettagliato di Governo, né le proposte legislative che avanzeremo all'attenzione del Parlamento, per la semplice ragione che stiamo ancora studiando cosa sia più opportuno proporre al Parlamento nei vari settori.
Mi limiterò a fornire alcune doverose informazioni sui criteri ai quali stiamo lavorando e su alcune «bussole» di Governo che stiamo seguendo. Parlerò dello stato dell'amministrazione relativo alle cose da fare in futuro, piuttosto che procedere ad una descrizione dell'esistente e della condizione in cui abbiamo trovato l'amministrazione.
Il breve esame dello stato dell'amministrazione sulle cose da fare è ispirato a due obbligati e doverosi criteri, il primo dei quali riguarda i compiti previsti dalle nuove leggi. Sottolineo questo aspetto perché dopo la riforma Bassanini abbiamo a che fare con una serie di disposizioni per la prima volta applicate in questa legislatura: quindi, siamo in una fase di doverosa ed inevitabile sperimentazione. Il secondo criterio riguarda i problemi emergenti - che si evidenziano indipendentemente dalle disposizioni normative - che dovremo inevitabilmente affrontare.
A questo proposito, dico subito che le cose da fare sono veramente molte e impegnative, ma mi auguro che solo per poche si debba ricorrere allo strumento legislativo. Siamo un paese, e concordiamo tutti su questo, che ha bisogno di un'opera di «disboscamento» normativo, non di un sovraccarico legislativo: vi prometto fin da ora, per la parte che mi compete, di essere un ministro molto parsimonioso nel proporre al Parlamento nuove norme, anche se inevitabilmente alcune materie richiederanno lo strumento della legislazione per una migliore organizzazione e disciplina.
Per quel che riguarda i compiti, questo dicastero ha tre grandi aree di competenza. La prima è quella dei beni artistici, intendendo i beni architettonici e monumentali, che rientrano da sempre nelle competenze dei beni culturali e rappresentano l'area nettamente più estesa delle altre; la seconda è lo spettacolo, un'area niente affatto piccola; da ultimo abbiamo il settore sportivo. Sebbene i nostri compiti al riguardo siano solo di vigilanza, dovremo prestare attenzione, dato che entrano in gioco tematiche importanti, come la salute di chi pratica sport.
Desidero parlarvi anche di turismo, anche se non rientra nei nostri compiti, in quanto le cosiddette leggi Bassanini hanno attribuito le competenze centrali al Ministero delle attività produttive, con il quale lavoreremo «di concerto». Il legame turismo-beni culturali - al di là delle valutazioni soggettive - è importante e molto stretto in termini quantitativi. Dandovi una piccola anticipazione, e senza citare cifre che non sono aggiornate - il che è una carenza gravissima della nostra amministrazione - affermo che la gran parte dei turisti stranieri viene in Italia per i beni culturali e che i visitatori dei beni culturali rappresentano il grosso del turismo (al netto dei visitatori scolastici). In alcuni paesi il settore del turismo rientra nelle competenze del ministero che accorpa i beni culturali (è il caso dell'Inghilterra e della Spagna - che utilizza una formula diversa -), in altri la situazione è diversa: per esempio la Francia non prevede nulla, mentre la Germania, in quanto Stato federale, ha disciplinato la materia in termini differenti, considerato il decentramento delle competenze.
I nostri compiti si possono suddividere in quattro grandi famiglie. La prima è quella della tutela, rivolta alla salvaguardia e alla conservazione, in particolare, dei beni artistici. La seconda e la terza riguardano i compiti di promozione e di valorizzazione sia dei beni artistici, sia del settore dello spettacolo. La quarta famiglia attiene alla vigilanza nello sport. Dalla lettura degli atti parlamentari riferiti alle leggi Bassanini emergono tre obiettivi principali: la diffusione delle pratiche sportive, la tutela della salute (il doping è una sfida quotidiana per noi), la questione che malamente possiamo sintetizzare nell'espressione ordine, nel senso di ordine civile e finanziario. Lo sport, ad esempio, presenta con il calcio sia aspetti di violenza negli stadi - che rientrano nell'ordine civile - sia preoccupanti minacce di squilibrio finanziario. Negli ultimi giorni, come avrete notato, molti giornalisti sportivi, fra i più seri, hanno sollecitato questa vigilanza, naturalmente in ossequio alle norme previste dalla legge.
I problemi sono tanti ed oggi parlerò solamente di alcuni, per cui non potrò certamente procedere ad una disamina approfondita; comunque sono a disposizione per gli approfondimenti successivi, che potremo fare con la dovuta documentazione.
Desidero richiamare la vostra attenzione sulla tutela dei beni artistici, del grande patrimonio dei beni culturali nel nostro paese. In questo settore siamo messi male, soprattutto a causa della preoccupante carenza nella tempestività delle informazioni. Come immaginate, spinti dal buonsenso, ci sono monumenti poco a rischio ed altri molto a rischio, hic et nunc. Il ministero non dispone, purtroppo, di informazioni tempestive sullo stato di salute dei monumenti; il che rende difficoltosa una ragionevole programmazione delle priorità: se sta peggio il Duomo di Milano o il Colosseo, in questo momento, non lo sappiamo, anche se, grazie al cielo, nessuno dei due sta male! La tutela sarà tanto maggiore quanto più in fretta avremo un flusso di informazioni dalle sovrintendenze sullo stato dei beni culturali.
Un altro aspetto rilevante della tutela riguarda la distribuzione dei poteri dei sovrintendenti e del ministero, ma anche delle regioni e degli altri enti pubblici, che hanno competenze in materia di beni culturali. Non vi sarà sfuggito che domenica il Corriere della Sera, con un articolo di Quintavalle, un giornalista molto competente, ha denunciato la vicenda del Duomo di Pisa, a cui sono state tolte due transenne coeve del Duomo e, soprattutto, due opere del Giambologna, che, oltre ad essere coeve del Duomo, rappresentano due grandi testimonianze della sua costruzione. È una questione imbarazzante, perché tutti noi, in base al buon senso, siamo orientati a ritenere che occorra equilibrio, ossia conservare i beni culturali il più possibile nella loro versione originaria, ben sapendo però che va da sé qualche alterazione, che preveda la compresenza di espressioni successive alla data di nascita di questi monumenti con opere più moderne. Da questo punto di vista il Duomo di Siracusa è il monumento più indicativo e rivelatore - credo al mondo - della compresenza di stili, trovandovisi insieme colonne greche e romane, capitelli legati a stili successivi, e poi il romanico, il gotico, il barocco: è una vetrina che la storia ci ha consegnato, che non ha subito alterazioni intenzionali. Ma quanto è legittimo, invece, produrre queste alterazioni, se non sono state consegnate dalla storia? Si ritiene giusto che una grande opera di De Chirico debba stare al posto di un'opera di Giotto, sottratta e messa al suo posto, perché il nuovo coesista con il tradizionale e l'antico?
Oggi la questione è demandata prevalentemente ai sovrintendenti provinciali, che possono procedere con il ricorso improprio ai livelli gerarchici superiori, dai sovrintendenti regionali al ministro competente, il quale può sospendere la decisione di un sovrintendente, avendone a volte pochi titoli oggettivi. Se, infatti, dovessi dire che si è fatto bene a togliere il Giambologna, ragionerei con l'approssimazione di una persona incolta, rappresentante dei cittadini sì, ma uomo della strada, privo cioè delle necessarie competenze. Si comprende in questo caso come la tutela diventi il trionfo delle soggettività, delle mode, delle ubbie e delle simpatie. È una questione critica, sulla quale mi permetterò nei prossimi incontri, quando il presidente e voi lo giudicherete opportuno, di proporre una disciplina diversa; altrimenti, si corre il rischio di non procedere e di dare luogo soltanto a polemiche quotidiane sulla «secchia rapita» che non nascono tra grandi esperti, ma fra persone che si conoscono troppo poco per poter intervenire.
Scusatemi se mi sono soffermato troppo su tali questioni, ma l'ho fatto sia perché quotidianamente le ritrovo sui giornali, sia perché in questo momento ho diverse emergenze come Rimini, Urbino, Imola, Pisa e così via. È chiaro che sarebbe sbagliato se il ministro pro tempore passasse le sue giornate a dirimere le controversie, per le quali oggi non ha una attrezzatura adeguata. Purtroppo possiamo apprendere poco dall'esperienza degli altri paesi: quasi nessun altro, infatti, presenta la concentrazione, la vastità e la delicatezza dei beni culturali italiani. Dobbiamo essere fieri di questo, ma anche consapevoli che abbiamo poco da imparare.
Attualmente la promozione dei beni culturali è affidata a persone, eccellenti in altri campi, ma con scarse conoscenze del settore: a testimonianza delle mie affermazioni citerò la mostra Sangue e Arena, presentata al Colosseo, sulle lotte dei gladiatori. Promuovere un bene culturale vuol dire, in primo luogo, saper allestire bene una mostra; la cultura dell'allestimento è strategica perché se una mostra venisse presentata male, ancorché bellissima, correrebbe il rischio di essere compresa da pochi. Allestire non è soltanto applicare un cartello esplicativo, è qualcosa di più e se visiterete la mostra del Colosseo, verificherete direttamente che vuol dire allestire. Voi tutti sapete che non si poteva salire sulle navate più alte del Colosseo, in quanto equivaleva a scalare il Monte Bianco, ma la sovrintendenza di Roma, con grande tatto e misura, ha approntato un ascensore, senza toccare il monumento. Nell'antichità come si faceva? I romani avevano ascensori per gli spettatori e per le bestie ed erano di due tipi, a forza idraulica o con l'utilizzo di schiavi. La meraviglia realizzata oggi per il Colosseo è stata approntata da un allestitore tedesco al quale il sovrintendente di Roma si è rivolto: ma questo tecnico è venuto dalla Germania perché in Italia non ci sono professionalità del genere in misura sufficiente rispetto al nostro patrimonio culturale; purtroppo non siamo in condizione di avere una offerta adeguata alla domanda. Capite, quindi, che la promozione senza l'allestimento non va; è una promozione cartacea che parla poco all'immaginazione.
In conclusione, gli allestitori sono indispensabili ma, non essendoci una scuola, abbiamo una cattiva promozione, che è tollerata perché il nostro patrimonio artistico richiama molti visitatori, anche se non adeguatamente promosso. La legge prescrive il compito della promozione, a cui non possiamo sottrarci, né possiamo rispondere con un «ma chi se ne importa!»: al contrario, dobbiamo provvedere.
La valorizzazione deve essere distinta dalla promozione e non può valere come parametro di misura il numero dei visitatori - poiché questo dato è determinato dalla promozione -: in senso tecnico significa dare valore alle cose e per attribuire più valore ai beni artistici è necessario un meccanismo che aumenti il flusso di risorse, pubbliche e soprattutto non pubbliche, di cui abbiamo tanto bisogno. La legge ci impone l'obbligo di provvedere ai beni culturali, alla loro tutela e alla loro promozione, non solo come ministero, ma anche in rapporto con i vari livelli di governo locale, dalle regioni ai comuni e con il sostegno del volontariato - utilizzando al meglio questa risorsa - e delle sponsorship, cioè il finanziamento dei privati. Ma purtroppo non siamo ancora attrezzati. Per adesso, sulla carta, l'amministrazione dispone di una società che non ha mai preso avvio sul piano operativo perché il Tesoro ha opposto una serie di obiezioni: dovremo dunque farla nascere noi, fissando compiti legati agli obiettivi della valorizzazione ed alla preparazione necessaria per assolverli validamente sul piano tecnico.
La valorizzazione dei beni racchiude tutte quelle voci che oggi, per usare una parola inglese, sono comprese nell'istituto dell'outsourcing. Dovremmo discutere se applicare questo strumento per intero come si verificherebbe, ad esempio, se affidassimo gli Uffizi ad una grande società italiana o straniera; certamente, il dibattito svoltosi nella legislatura precedente testimonia che tutti siamo d'accordo sulla necessità dell'outsourcing dei servizi, perché è assurdo che lo Stato gestisca direttamente le attività di pulizia o di ristorazione all'interno dei musei. Attualmente esistono molti servizi (che aumenteranno, se teniamo conto di quelli informatici) che è possibile affidare all'esterno senza creare problemi insolubili, come avverrebbe se aumentassimo il personale con compiti stagionali: infatti, non possiamo assumere personale che lavora solo per tre mesi anche ci sono musei, siti archeologici o gallerie raggiunti dal flusso di visitatori solo per tre mesi all'anno e vuoti per il restante periodo. I meccanismi di outsourcing consentono di risolvere questi problemi con relativa facilità; un maggiore ricorso ad essi favorisce l'aumento dell'occupazione, perché lo Stato non si occuperebbe più di alcuni aspetti della gestione (in modo velleitario) ma promuoverebbe imprese specializzate in tali settori.
Temo che, poiché occorrono leggi in materia di normativa di vigilanza, dovremo ricorrere all'ausilio del Parlamento. Faccio un solo esempio: oggi, il fenomeno inglese della violenza negli stadi (ricordiamo tutti gli hooligans) è improvvisamente scomparso e ci si può tranquillamente recare allo stadio con bambini e persone anziane, senza temere di ricevere spintoni anzi, trovando un clima di assoluta tranquillità. Il miracolo è avvenuto in coincidenza dell'approvazione di una legge antiviolenza particolarmente intelligente. Non dobbiamo copiare dagli inglesi, ma imparare dalle esperienze che funzionano: per impedire il verificarsi di episodi di violenza, soprattutto nel calcio, ma anche nella pallacanestro ed in altri sport, dobbiamo ricorrere ad una normativa più efficace.
Spero che potremo provvedere con soluzioni amministrative e non di tipo legislativo all'inadeguatezza degli strumenti di finanziamento. In materia di beni culturali negli anni passati, specie nell'ultima legislatura, sano stati compiuti importantissimi e positivi passi avanti: in particolare riconosco la bontà, soprattutto come soluzione tampone, della decisione del ministro Veltroni di aumentare di una giornata a settimana l'estrazione del gioco del lotto, destinando i proventi ai beni culturali. Oggi i giochi stanno aumentando e la loro tipologia si sta ampliando, ma è chiaro che non possiamo affidare al caso le sorti del Colosseo, perché se il gioco del Lotto, che ora è di moda, venisse sostituito dal Bingo, si ridurrebbero gli introiti con effetti dannosi per il restauro del Colosseo. Dobbiamo invece ipotizzare meccanismi di finanziamento differenziati, in maniera tale da ricorrere sempre al sostegno delle voci complementari e, più in generale, dobbiamo rendere le fonti di finanziamento quanto più possibile strutturali e stabili.
Non vorrei apparire un cultore esasperato della terminologia degli economisti, ma devono aumentare domanda ed offerta: per potenziare le risorse che affluiscono ai beni culturali deve crescere il numero dei visitatori, così come le offerte di siti confortevoli, non quantitativamente ma qualitativamente. Chiunque abbia recentemente compiuto un viaggio all'estero, visitando musei francesi, tedeschi, inglesi e soprattutto spagnoli, avrà notato che nel nostro paese si espongono opere d'arte di valore incommensurabilmente più alto rispetto a quelle dei musei di tali paesi. Un esempio che vorrei citare è quello del museo Pergamon a Berlino, che fa quasi sorridere rispetto al museo egizio di Torino: ma, mentre il Pergamon è un luogo gradevole e facile da fruire e da visitare, il museo egizio di Torino è, purtroppo, quasi infrequentabile.
Abbiamo allora bisogno di un grande salto di qualità.
Mi sembrerebbe improprio affermare che disponiamo di un programma dettagliato, analitico e soprattutto esauriente, anche se dalla relazione avrete compreso che alcune linee direttrici di Governo sono obbligate. Chiedo scusa per aver proposto esempi più attinenti ai beni artistici che non ai campi dello spettacolo e dello sport e vorrei fornirvi una assicurazione, perché non interpreterò il mio ruolo in termini di tentazioni da Minculpop: non dobbiamo promuovere la politica della o nella cultura, ma facilitare da un lato la tutela, la conservazione e la salvaguardia e dall'altro la produzione della cultura, che è demandata agli uomini della cultura. Il ministero non deve decidere e selezionare tra amici e nemici, destra e sinistra: personalmente tale atteggiamento mi ripugna e penso che la cultura muoia ogni volta che la si etichetta, da destra o da sinistra, o comunque riesca a camuffarsi fino al punto da svilirsi. La cultura è tale in quanto non attiene a scelte di fazione anche se, purtroppo, molte volte, durante la millenaria storia del nostro paese, è avvenuto ( ad esempio nel Rinascimento) che gli artisti abbiano dovuto cercare un principe. Oggi, dobbiamo evitare che questa storia si ripeta, perché abbiamo una certa concezione della libertà, della democrazia, del valore della cultura. Non vogliamo un nuovo Minculpop: lo sottolineo perché molti critici delle leggi Bassanini hanno denunciato i rischi del nostro ministero. Chi ha visto la raccolta di saggi pubblicati da Il Mulino sulla riforma del Governo avrà letto, su tale argomento, una critica esplicita: è irrilevante che sia stata avanzata da destra o da sinistra, perché è vero che esiste un rischio a cui bisogna prestare attenzione, soprattutto per quanto riguarda lo spettacolo (meno per i beni artistici e nessuno, spero, per quanto riguarda lo sport). Se ci poniamo nell'ottica che esistono film di destra o di sinistra, un teatro di destra o di sinistra, il fallimento è assicurato.
Vorrei aggiungere che la mia funzione non è quella di ministro taglianastri: riceverò molte critiche, ma non sono andato a Taormina e non andrò a Venezia, perché non voglio andarci. Credo che ci sia la necessità di un ministro problem-solver secondo il modello che ci insegnò Spadolini, di cui ero amico ed allievo: un ministro che siede nel suo ufficio cercando di risolvere problemi. Oggi non vedo Giovanna Melandri ma quando ho ricevuto le consegne del ministero ho utilizzato la sua segreteria particolare per prendere visione dei suoi impegni, intendendo gli impegni assunti dal ministro che debbono essere necessariamente onorati: l'addetto alla segreteria non ha capito e mi ha gentilmente predisposto l'elenco degli impegni su base annuale, dal quale ho compreso che se un ministro tagliasse solo nastri avrebbe 480 appuntamenti l'anno, impegnandosi solo in questa attività senza potersi interessare di altro. Credo sia doveroso comparire meno e assolvere maggiormente agli adempimenti urgenti che ricordavo prima: se non abbiamo le informazioni, l'attività di tutela viene svolta male; se non abbiamo una nuova leva di allestitori, la promozione dei beni viene eseguita in modo non soddisfacente; se non abbiamo una base finanziaria, corriamo il rischio di rimanere senza fondi.
Nel corso della discussione potremo ulteriormente approfondire temi sui quali si appunta l'interesse dei membri della Commissione, sui quali spero di essere preparato perché ho capito che in questo lavoro è necessaria una certa umiltà e pazienza.
Una parte cospicua del programma di Governo che il Presidente del Consiglio ha illustrato in Parlamento è rappresentato dalle cosiddette grandi opere, cioè quelle infrastrutture riguardo alle quali il nostro paese ha accumulato un ritardo enorme: ometto ogni rapporto tra grandi opere e beni paesaggistici (anche se in parte rientra sotto la mia competenza e, quindi, è un mio dovere esplicito), ma vorrei sottolineare che concordo con il Presidente del Consiglio nel considerare anche le grandi opere, che metteremo in cantiere, non come un rischio per il paesaggio del nostro paese, ma come un'occasione per arricchirlo di bellezza. L'architettura moderna produce anche opere d'arte, non necessariamente mostruosità: i nostri architetti girano il mondo per lavorare negli aeroporti piuttosto che nelle grandi strutture musicali, mentre sono poco occupati nel nostro paese. Il curriculum vitae di Gae Aulenti riporta l'85 per cento di opere realizzate fuori dall'Italia e il 15 per cento costruite in patria. Sono consapevole che ogni progetto di grandi opere porta con sé il rischio di deturpare il paesaggio; credo però che l'architettura moderna possa essere una occasione di arricchimento del paese, perché abbiamo il dovere di testimoniare che abbiamo un passato, ma anche un presente ed un futuro: non siamo un «paese museo» ma una nazione che guarda al futuro.
Come avrete appreso dai giornali, il nostro ministero non lavorerà sulla base delle deleghe tradizionali per aree di competenza. A proposito del cosiddetto decreto Frattini - il primo atto che il Governo ha varato - mi sono permesso di spiegare, soprattutto ai colleghi con minore esperienza di Governo (anche se io ne ho solo nove mesi), che le deleghe per aree di competenza sono pericolosissime perché comportano il rischio di lavorare «per feudi»: ogni sottosegretario si occupa di un tema, con il pericolo di perdere il senso di coerenza e di armonia interna ai singoli ministeri e dell'azione di Governo. Poiché il Presidente del Consiglio ci aveva richiamato ad una visione collegiale e complessiva dell'attività di Governo, mi è stato facile sostenere che le deleghe possono essere attribuite, come è avvenuto per cinquant'anni, secondo aree di competenza oppure, come poi ho fatto aggiungere ed approvare, per progetti-obiettivo, che consistono in aree circostanziate sia spazialmente (si tratta di argomenti definiti), sia temporalmente (durano nel tempo). Il nostro ministero (con soddisfazione dei sottosegretari, preceduta da una certa insoddisfazione iniziale) lavora con il modello dei progetti-obiettivo; io stesso conferisco una serie di piccole deleghe su temi specifici come, ad esempio, il Museo dell'olocausto a Ferrara o il credito sportivo (terribile problema). Riferiremo in Commissione su tutto ciò che si riterrà opportuno: sappiate che lavoriamo con un'impostazione collegiale il cui primo responsabile, come è ovvio, è il ministro, coordinatore dei singoli sottosegretari. Potrà essere più facile, avendo ben compreso ciò, lavorare in futuro con un'ottica nuova che sperimentiamo dopo cinquant'anni di diversa conduzione.
Sono particolarmente consapevole che le politiche di tutela sono più salde dove i cittadini si arrabbiano contro le violazioni della conservazione: abbiamo bisogno di cittadini che si indignano se si distrugge il Colosseo! Cito questo elemento paradossalmente, perché una recente inchiesta tra i bambini delle scuole elementari di Milano ha messo in luce il fatto che si considera più importante San Siro del Duomo. Comprensibile ma preoccupante!
Le attività di promozione, valorizzazione e tutela richiederanno attenzione su due versanti: il rapporto tra beni culturali, in senso ampio, e scuola (ci sarà futuro solo con la formazione) e quello che possiamo definire come il rapporto tra beni culturali ed i media, soprattutto la televisione: la sensibilizzazione di massa richiede l'uso di strumenti di massa, non possiamo pensare di usare un foglio di élite per sensibilizzare larghe masse di cittadini. È necessario trovare una soluzione per portare la cultura in televisione, da dove è quasi scomparsa: il passaggio da affrontare è quello della «spettacolarizzazione» della cultura, perché i media non prevedono una programmazione fondata su una cultura di élite, quindi noiosa, ma soltanto quella in grado di attrarre gli appassionati dello zapping televisivo.
L'ultima considerazione che vorrei proporre riguarda la particolare attenzione con la quale è necessario guardare al Mezzogiorno, regione da cui provengono cifre statistiche impressionanti. Già durante la vecchia polemica tra Vera Lux, Eugenio Scalfari, Manlio Rossi-Doria, Saraceno, tutti riconobbero che il sud aveva la sua prima vocazione economica nel settore del turismo, che è naturalmente associato ai beni culturali: oggi però il sud è poverissimo di musei e biblioteche, il cui numero corrisponde a meno della metà della sua quota di popolazione. Quando poi nasce un museo come quello di Reggio Calabria o della Locride, ci si meraviglia, ma solo perché finalmente sono stati edificati. Oggi la carenza di queste strutture (che, sotto il profilo economico rappresentano le calamite che attraggono il turismo) è molto grave anche per quanto riguarda la finalità filosofica dei beni culturali: il legislatore ha definito i beni culturali con espressioni differenti e a volte strampalate, come testimoniano gli atti parlamentari. Possiamo però assumere come miglior contributo del legislatore una definizione che risulta particolarmente felice: i beni culturali sono testimonianze di civiltà che ci ricordano i valori ed i modi di vita. Se questa definizione è vera, allora per il sud non avere musei significa essere privo dello strumento principale per ripensare la propria civiltà, esserne orgogliosi e riuscire a «vendere» (in senso positivo) il proprio territorio ed il proprio passato sul mercato dei beni culturali. Ecco la ragione per la quale dovremo fare tanto, stabilendo un particolare impegno per il Mezzogiorno d'Italia, perché è la parte del paese in cui, sotto questo profilo, l'offerta economica è meno sviluppata a fronte di un ricchissimo patrimonio di tradizioni, reperti, scavi di beni non mostrati al pubblico.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Urbani per la sua esposizione, alla quale seguiranno le domande dei colleghi. Prego i colleghi di contenere gli interventi in limiti accettabili per permettere a tutti di porre quesiti e chiedere chiarimenti. Do la parola all'onorevole Galvagno.

GIORGIO GALVAGNO. Non entro nel merito delle vaste indicazioni di merito contenute nella relazione del ministro Urbani, che richiederebbero tempi più lunghi ed un intervento di tipo diverso, che avremo modo di svolgere in seguito. Vorrei solo sottolineare alcuni punti: il primo riguarda il rapporto tra il ministero e le sovrintendenze, sotto alcuni profili di merito. Vorrei che il ministro esercitasse i suoi poteri, poiché non riponiamo fiducia assoluta nelle cosiddette competenze tecniche: sappiamo che esse sono imprescindibili per formare il giudizio, ma anche che sono molto contrastanti tra di loro (mi riferisco proprio a quegli interventi che possono avvenire in varie zone d'Italia). Chiediamo che il ministro eserciti i propri poteri perché è necessaria una figura che interviene per dirimere le controversie, stimola se è necessario, sostituisce od impedisce: i pareri tecnici non hanno mai risolto problemi di merito perché spesso sono opposti l'uno all'altro anche sul piano scientifico. Nel nostro paese non ci si assume più nessuna responsabilità e si tende ad affidarsi alla burocrazia, che è importante ed indispensabile ma, per sua natura, è irresponsabile di fronte all'elettorato: vorremmo che i poteri fossero assunti da coloro che hanno delle responsabilità, legando potere e responsabilità perché oggi, in Italia, c'è una grande capacità di interdizione da parte dei cosiddetti poteri «irresponsabili» (uso questo termine tra virgolette).
Signor ministro, le chiedo di precisare il modo in cui intende esercitare questo suo ruolo di garanzia, perché dobbiamo conoscere a chi vengono attribuite le responsabilità.
Il secondo punto che vorrei affrontare riguarda i rischi, sottolineati dal ministro, che comportano le grandi opere: chi ha ricoperto la carica di sindaco o di amministratore, sa che in alcuni momenti del governo possono accadere fatti negativi oltre a quelli positivi. Tuttavia, il paese ha bisogno di grandi opere: anche per la difesa dell'ambiente, del quale si parla tanto, sono necessari grandi interventi e tecnologie che rendano vivibile il nostro territorio. Ad esempio, viaggiare con la metropolitana a Roma (ho preso l'impegno di usarla per un mese e non prendere il taxi) è un'esperienza difficile: i romani sono bravissimi perché sopportano disagi inenarrabili. Costruire metropolitane e promuovere interventi di questa natura è un fatto di civiltà, possono essere considerati quasi musei viventi.
L'ultima considerazione riguarda il rapporto tra la cultura e la politica. La politica non dovrebbe intromettersi nelle questioni culturali, perché cultura e politica sono sempre andate di pari passo. La cultura è l'espressione di un humus che esiste, è fortemente influenzata dalla politica, che invece vuole sovrapporsi: ci accontenteremmo semplicemente dell'assenza di faziosità.

MICHELE RANIELI. Ho apprezzato molto la relazione del ministro e, in particolare, l'analisi sulle competenze, che sono da rivedere e da ridefinire, essendo necessario trasferirne alcune, fortemente significative, alle regioni. Mi pare che questo sia l'orientamento del ministro e del Governo. In secondo luogo, sembra che manchi un monitoraggio e un censimento per evidenziare i grandi rischi sulle grandi infrastrutture esistenti. Infine, noto che si punta molto sulla formazione professionale sia per la preparazione dei grandi eventi, sia per una nuova cultura informativa anche per il settore dello spettacolo, per la sua promozione e valorizzazione.
Sembra anche che il ministro ed il Governo siano rassegnati a far rientrare il turismo tra le attività produttive. Al contrario, dovrebbe essere riconsiderata l'iniziativa di accorpare il turismo ai beni culturali: è pur vero che oggi il turismo è un business, ma senza i beni culturali, senza la loro valorizzazione e fruizione, non si può parlare di turismo in senso ampio.
Pur apprezzando lo sforzo del ministro e del Governo di guardare con particolare attenzione al Mezzogiorno, non ho compreso se si vuole investire, e quanto, per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, tenendo conto che - almeno per le notizie in mio possesso - l'Italia ha il 51 per cento dei beni culturali esistenti nel mondo, mentre la Calabria da sola ne possiede il 18-20 per cento del totale. Allora, con riferimento alle testimonianze ultramillenarie di civiltà che vanno recuperate, valorizzate e conservate, gli obiettivi del Governo vanno orientati soprattutto in quei settori, investendo nei beni culturali, oltreché nell'occupazione. Se, infatti, i paesi del bacino mediterraneo hanno una grande ricchezza rappresentata dal petrolio, in Italia la più grande risorsa economica e finanziaria è data dai beni e dai giacimenti culturali che è nostro dovere preservare, mantenere, tutelare e conservare per il futuro.
Mi auguro, pertanto, che in altri incontri sia possibile ascoltare il ministro su come e quanto intenda investire per la tutela e la fruizione; su come intenda, dopo un monitoraggio, intervenire su tali opere e se abbia intenzione di realizzare un museo, un centro di ricerca archeologica marina, tenuto conto che soltanto in Calabria risultano censiti oltre 250 relitti marini, mai esplorati per le carenze finanziarie del ministero.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Personalmente la stimo, signor ministro, ma considero deludente la sua relazione sotto il profilo programmatico. Il nuovo Governo si pone come primo obiettivo la risoluzione dei problemi - ed io rispetto la cultura del fare -, ma una risoluzione fuori dalle linee guida e dagli indirizzi è qualcosa di tecnico; tecnico non con riferimento ai beni culturali, bensì nell'accezione più bassa, ossia privo di un ruolo culturale. Ho sentito parlare di aria condizionata e di ascensori, però non ho capito che cosa intenda fare il Governo sul problema del Ministero dei beni e delle attività culturali.
Per quanto riguarda il Ministero dei beni e delle attività culturali, comprendo la definizione di bene culturale quale testimonianza di civiltà, ma il dicastero da lei diretto si occupa - voleva occuparsi nella definizione del precedente Governo - anche della costruzione e della promozione di segnali di una civiltà nuova. Allora, non siamo di fronte soltanto ad un ministero di testimonianza, teso alla valorizzazione e alla tutela - con tutti i problemi che ciò comporta - ma anche ad un ministero «per». Il Governo è d'accordo su questa doppia articolazione? Quali sono le modalità e gli strumenti con cui realizzare, se si è d'accordo, questa impostazione?
Il problema del turismo - un punto da lei sottolineato, forse uno dei pochi, insieme a quello di lavorare per progetti e al rifiuto delle deleghe, che capisco e condivido - di lavorare di concerto con il Ministero delle attività produttive per un'attività di promozione «di concerto», non è in profonda contraddizione con un'altra operazione che il Governo ha appena compiuto, quella cioè di avocare dal Ministero delle attività produttive le competenze in materia di comunicazione, telecomunicazioni, informatica, rinchiudendole in una ministero apposito, che non ha nessuna idea di sviluppo, di rapporto con l'estero, di articolazione tra i vari settori dello sviluppo produttivo nel nostro paese?
Il Governo dovrà dire che cosa intende fare del profilo riformista e di rinnovamento, nel settore dei beni culturali, che i precedenti governi del centrosinistra hanno messo in campo. È necessario dire, signor ministro, se si è d'accordo, dove non lo si è e se si intende cambiare. Lo chiedo perché nessuno aveva l'intenzione di riproporre il Minculpop, neanche nei precedenti governi! Tant'è vero che questo Ministero dei beni e delle attività culturali non solo nella sua articolazione, ma anche per l'insieme delle disposizioni normative e di definizione degli assetti istituzionali, rende impossibile l'idea stessa del Minculpop.
Posso citare qualche esempio in tema di autonomia: la trasformazione degli enti pubblici in fondazioni nel settore dello spettacolo e dei beni culturali; l'autonomia dei sovrintendenti e dei musei; l'istituzione dei sovrintendenti regionali; il decentramento operato, attraverso le leggi Bassanini, sulla base dell'assetto istituzionale per la definizione delle istituzioni e delle modalità di gestione. L'autonomia non può essere rivendicata semplicemente affermando di non volere né la destra né la sinistra, in quanto la cultura è cultura. Anch'io sono d'accordo su questo, ma voglio sapere quali sono i processi e le istituzioni che la rendono possibile.
Questa mattina - non so se per un lapsus o per altro - lei si è spesso immedesimato in un ruolo di tecnico (che anche il sottosegretario Sgarbi ha assunto) definendo che cosa sia o non sia l'arte, come si fa o non si fa un restauro, quanto barocco o quanto neogotico individuiamo in un determinato monumento: questo è ciò che intendo per arte di Stato. Le dichiarazioni del sottosegretario Sgarbi e le sue affermazioni di stamattina sul Duomo di Pisa ed altri casi del genere, assomigliano non tanto ad un Minculpop, ma ad un'idea che non riesce a separare il ruolo di direzione politica, che definisce le politiche «per» con il pluralismo, con l'apertura, con più soggetti che si esprimono, dal ruolo tecnico che i governi di centrosinistra, con parecchie contraddizioni e critiche, hanno demandato ad una sorta di autorità tecnica, secondo il principio delle authority esistenti in altri settori dell'amministrazione pubblica.
Le politiche pubbliche, i ruoli per le autonomie, la capacità di stare o non stare all'interno dell'esenzione culturale e di ciò che significa in termini di accordi nell'Organizzazione mondiale del commercio: sono questi i grandi temi di un ministero, diventato di straordinaria importanza dopo i cinque anni di governo del centrosinistra, che speravo fossero riproposti questa mattina. Comprendo che è necessario del tempo; le riconosco l'umiltà di essere ancora nella fase dello studio, ma, prendendo atto che siamo tuttora in una fase di gestazione, la invito veramente attraverso l'atteggiamento «minimalista», che è anche apprezzabile sotto certi profili, a non confermare il tipo di modello che, con il sottosegretario Sgarbi e le sue dichiarazioni, il ministero sta assumendo. Sarebbe davvero paradossale che i famosi liberisti arrivati al Governo riproponessero il Minculpop, che nessuno ha mai fatto.

CARLO CARLI. Avendo svolto l'incarico di sottosegretario, seppure per un breve periodo, mi rendo conto delle complessità che lei, signor ministro, si trova a governare. Mi consenta, però, di affermare che nella precedente legislatura molte sono state le norme innovative che hanno portato il ministero ad essere più vicino ai tempi, anzi ad essere un ministero strategico per lo sviluppo economico del nostro paese.
Questo ministero, grazie ai governi di centrosinistra, fa parte del CIP e, quindi, è entrato a pieno titolo nella programmazione economica del nostro paese. Del resto, per quello che ci diceva poco fa, 480 opere dovrebbero essere inaugurate quest'anno: esse sono il risultato di ingenti finanziamenti che il centrosinistra ha devoluto al settore, importante per la civiltà e la cultura, non solamente del nostro paese, ma dell'umanità intera, che abbiamo il dovere di conservare e tramandare alle future generazioni.
Aggiungo che, nonostante l'enorme innovazione voluta dal centrosinistra, bisogna attuare ancora alcune parti della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali: sono state fatte le nomine dei sovrintendenti regionali ed è stato riordinato a livello centrale il ministero, per cui la struttura ministeriale, una volta attuata, sarà più vicina al territorio, potrà monitorare più puntualmente lo stato di conservazione del nostro territorio ed avere un rapporto più stretto con le amministrazioni regionali. Del resto, la riforma federale, che abbiamo approvato, prevede, pur mantenendo in capo allo Stato il compito prioritario della tutela, uno stretto rapporto con le regioni e le autonomie locali. Riteniamo allora che anche questa parte della riforma del ministero debba al più presto essere realizzata.
Sulle sue affermazioni di principio - so che lei è un liberale e come tale, l'ha detto più volte, rifugge il principio che i Governi debbano fare la cultura e che sia lo Stato ad assumere un modello o un manifesto estetico - dico che la nostra stessa Costituzione, agli articoli 9 e 33, prevede che la Repubblica promuova lo sviluppo della cultura e che l'arte e la scienza siano libere. Sono cardini sui quali tutti, al di là delle posizioni politiche, non solo ci dobbiamo riconoscere, ma li dobbiamo anche fortemente difendere. Oggi, però, si percepisce una visione diversa: un interventismo piuttosto forte, che stabilisce quello che è bello e quello che è brutto, quello che è da salvaguardare e quello che è da buttare. Sicuramente lei si troverà in una situazione imbarazzante di fronte ad un'opera di un grande artista come Giuliano Vangi, lo scultore dell'ambone del Duomo di Pisa, nel caso in cui dovesse ordinare di toglierlo, e magari mandarlo a discarica. Allora, più che il ministro, ritengo che debba essere chiamato ad intervenire il mondo della cultura, della scienza e dell'arte.
Nella riforma del ministero questi compiti sono demandati ai comitati di settore e ai sovrintendenti. È chiaramente opinabile, e si può discutere sulle decisioni che questi assumeranno, ma nell'affermare che la cultura e l'arte sono autonome dobbiamo riconfermare la validità del demandare i giudizi ed i pareri, che anche lo Stato deve comunque dare, ad autorità in qualche modo indipendenti dal Governo, aventi comunque una chiara connotazione di carattere culturale, artistica, scientifica, a seconda dei temi trattati.
Apprezzo le sue dichiarazioni di principio, ma quello che conta è l'operare pratico e i messaggi che quotidianamente vengono dati all'opinione pubblica. Recentemente si è visto un sottosegretario molto interventista ed un ministro piuttosto silenzioso: avremmo piacere di sentirla di più, anche perché lei viene qui a rispondere del suo operato.

FRANCA CHIAROMONTE. Come i colleghi che mi hanno preceduto, ringrazio il ministro per la rassicurazione fornita circa la non volontà di ricreare il Minculpop: essa si è resa necessaria a causa del dibattito seguito alla riforma del ministero, che ci ricorda quanto la questione dell'autonomia dell'arte e della cultura nel nostro paese sia, seppur in modo controverso, gelosamente custodita dai tecnici, dagli intellettuali, dagli artisti che sono stati particolarmente presenti nel dibattito che ha accompagnato la riforma del ministero stesso; i colleghi hanno ricordato prima di me che tale rassicurazione si è resa necessaria, tanto che lei, signor ministro, ha voluto precisarlo, a causa di qualche «esternazione», a nostro modo di vedere impropria, che ha accompagnato i primi passi di questa amministrazione, in particolare riguardo alle dichiarazioni dell'onorevole Sgarbi, ma anche a qualcosa che lei ha detto stamane. Penso che insieme, essendo tutti e tutte figli di quella cultura liberale che ci accompagna nella nostra politica quotidiana, dobbiamo vigilare contro ogni tentazione, non solo di ridare vita al Minculpop, ma anche di confondere il mestiere del politico con quello del tecnico.
Signor ministro, lei giustamente ha detto che non le spetta la decisione circa il barocco piuttosto che un altro stile: siamo d'accordo, ma il personalismo si manifesta ogni volta che l'amministratore pubblico pensa di poter dirimere questioni che attengono alla cultura, all'organizzazione di una città, di un museo, di una chiesa, seguendo ciò a cui tutti siamo legati: il nostro gusto del palato. Guai se l'amministratore pubblico si comportasse in questo modo: ciò vale naturalmente per chi è stato eletto in rappresentanza dell'interesse generale e tanto più per chi ha compiti di gestione.
Signor ministro, lei ha dichiarato questa mattina che non sarebbe entrato nel merito della programmazione, forse in coerenza con quella necessità del «disboscamento normativo», sulla quale, naturalmente, non solo siamo d'accordo ma abbiamo operato negli anni di governo che abbiamo alle spalle anche attraverso testi unici che puntavano ad ottenere una razionalizzazione dei processi normativi. È vero, molte leggi spesso sono in contraddizione tra loro, ma questa considerazione non può farci dimenticare che, proprio in molti dei settori di competenza del suo ministero, manca un quadro normativo: mi riferisco alle leggi per i settori della prosa, della danza, della musica, giunte in dirittura d'arrivo nella scorsa legislatura che, però, non siamo riusciti a varare; sarebbe necessario capire come il Governo intenda fornire risposte a questi importanti settori.
Riprendo l'intervento dell'onorevole Grignaffini per sottolineare il punto - sul quale mi sembra non ci sia stata sufficiente chiarezza - riguardante la posizione che il Governo ha assunto ed intenderà assumere nella vita quotidiana rispetto all'attuazione della riforma che ha dotato il nostro paese, finalmente, di un Ministero dei beni e delle attività culturali: questa è la filosofia alla quale il ministro mi pare giustamente sensibile, che consente alla cultura di essere sempre più motore di sviluppo, occupazione e lavoro. Il ministero si chiama «dei beni e delle attività culturali» perché racchiude le competenze per la tutela, la conservazione della memoria ma anche quelle per lo sviluppo, la promozione, la contemporaneità. Una delle caratteristiche della riforma consiste appunto nel dotare il ministero di strutture atte a promuovere la contemporaneità: l'arte e l'architettura contemporanea.
Altra questione, strettamente legata alla posizione politica che il Governo intende assumere rispetto alla riforma, riguarda l'autonomia delle sovrintendenze e di chi di chi lavora nei beni culturali. Essa è controversa ed il relativo percorso è stato soltanto avviato: ricordo che l'unica sovrintendenza autonoma è quella di Pompei. Signor ministro, lei lamentava giustamente la scarsa tempestività delle informazioni che dipende, come sa meglio di me, dalla inadeguatezza assoluta delle strutture delle sovrintendenze. Abbiamo creato, lo ricordava l'onorevole Carli, la figura del sovrintendente regionale per garantire, visti anche i maggiori poteri delle regioni, un raccordo tra Stato e regioni: ebbene, essa può aiutare lo scambio tempestivo di informazioni e la progettazione. Tutto ciò però rischia di essere una scatola vuota se non viene riempita di strutture e di mezzi idonei a rendere possibile lo svolgimento delle funzioni attribuite alle sovrintendenze medesime.
Ci farebbe piacere, inoltre, conoscere la posizione del Governo riguardo alle politiche della tutela alla luce della riforma federale dello Stato che, come sappiamo, è sottoposta a referendum. Si è svolto un grande dibattito, anche con i presidenti delle regioni, arrivando ad una formulazione che assegna allo Stato la tutela dei beni culturali. Ci farebbe piacere sapere se il Governo difenderà quel testo oppure no, perché anche da questo dipenderà la decisione che la cultura sia patrimonio condiviso di tutti e che il bene culturale non sia di esclusiva competenza del luogo in cui per caso, per storia o per tradizione, si trova ad essere collocato.

FABIO GARAGNANI. Ringrazio il ministro per la sua relazione, che condivido pienamente: è stata concisa ma ha delineato gli orientamenti del Governo. Soprattutto ho apprezzato la parte in cui è stata enunciata l'intenzione di discostarsi da una interpretazione della promozione delle attività culturali che rende il Governo protagonista in un settore che non gli compete strettamente.
Al riguardo ho un'opinione nettamente differente dai colleghi della sinistra: penso che l'ambito di azione del ministero debba essere quello dei beni culturali, mentre eccepisco che esso debba occuparsi delle attività culturali o della cultura generale. Ricordo ai colleghi della sinistra che, non a caso, si è parlato di costruzione di una civiltà nuova in riferimento alle presunte omissioni del ministro: non vorrei che questo modo di fare cultura, secondo i dettami di una civiltà nuova, fosse simile a quello della mia regione, l'Emilia-Romagna (sono stato consigliere regionale di minoranza fino a due mesi fa), dove da diversi anni ho assistito ad una pesante interferenza dell'ente locale nel settore culturale che stabiliva priorità (non semplicemente privilegiando alcune opzioni) condizionate da dettami ideologici ben precisi. Dobbiamo distinguerci su questo punto: il ministro si è riferito in modo preciso al modo in cui debba oggi considerarsi questa materia così complessa e delicata. Credo che occorrerà operare una verifica, per evitare di tornare all'uso di circolari che prescrivono l'insegnamento della storia secondo un certo modello o stabiliscono, ancora oggi, manifestazioni di un certo tipo per quanto riguarda la resistenza all'antifascismo e non altre, dimenticandosi di citare altre forme di totalitarismo: tutto ciò avviene in alcune regioni d'Italia.
Oggi si parla di federalismo, le regioni hanno acquisito autonomia in certi settori: non desidero che il Governo interferisca in comparti delicati come questo con una soggettività che, di fatto, privilegia un'opzione culturale di un certo tipo discriminandone altre. Il ministro ha giustamente evitato di entrare troppo nel merito delle questioni della promozione culturale perché si tratta di un settore delicato e complesso: con toni diversi, il leit-motiv ricorrente negli interventi dei colleghi della sinistra è stata la critica al fatto che il ministro si sia espresso sui beni culturali in modo diffuso, mantenendo una certa circospezione sull'attività e sulla promozione culturale. La circospezione è giusta e necessaria e non indica disinteresse, ma la volontà di affrontare questi argomenti in modo delicato, marcando una differenza di impostazione di fondo tra l'attuale Governo e l'attuale maggioranza e quella precedente.
A proposito dell'autonomia delle sovrintendenze ai beni artistici e culturali, lamento la pressione dell'ente locale di Imola sullo spostamento del monumento ai caduti della prima guerra mondiale: è inammissibile che un'autorità, che ha confermato la validità dell'impianto culturale e storico di quel monumento, si possa poi trovare di fronte a raccolte di firme e cori di proteste organizzate dall'ente locale.
Vorrei rivolgere due domande al ministro: la prima verte su un settore in difficoltà, che si è cercato di aiutare tramite la collaborazione, all'interno degli enti lirici, tra pubblico e privato (l'istituto della fondazione) stabilendo una partnership tra regione, privati, fondazioni: a che punto è la collaborazione per quanto riguarda il mantenimento degli enti lirici, il decollo di iniziative e la diffusione della cultura musicale, lirica e sinfonica ad ogni livello? La seconda domanda riguarda i furti di opere d'arte denunciati, con giuste lamentele dei responsabili ecclesiastici riguardo la propria impossibilità di assicurare la tutela dei beni d'arte, sparsi in moltissime chiese prive di custodia: che tipo di collaborazione potrà essere attuata nel futuro tra Governo, sovrintendenze e autorità ecclesiastiche al fine di mantenere questo complesso di beni significativi dal punto di vista artistico?
Vorrei inoltre che mi fosse chiarito il ruolo sostitutivo di controllo che il Governo dovrà assumere nei confronti di eventuali inadempienze: la vicenda del duomo di Noto è emblematica, anche rispetto alle denunce, di un atteggiamento che il Governo dovrà tenere nei confronti degli enti locali, delle regioni (dotate di autonomia speciale), delle sovrintendenze e di coloro che hanno responsabilità. Occorre intervenire per evitare alcune situazioni ed avere la possibilità di ottenere notizie precise sullo stato delle opere d'arte.

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Accolgo l'invito del presidente alla brevità, per cui rivolgerò al ministro due domande e proporrò una considerazione più ampia di natura politica.
Innanzitutto vorrei sapere come sono allocati nel bilancio dello Stato i beni artistici e se esiste una voce specifica. Lo domando perché so che alcuni paesi collocano in attivo, ricalcando in modo certamente improprio le tecniche di bilancio delle aziende private; ritengo questo modo di operare improprio perché credo che beni che hanno un valore enorme, di difficile quantificazione, debbano trovare cittadinanza nell'ambito del bilancio dello Stato.
La seconda domanda è anche una considerazione: gli impegni del Governo, sia pure succintamente (ma non poteva essere diversamente) esposti nella seduta odierna, ci trovano assolutamente consenzienti. Ogni programma peraltro, secondo la concezione di coloro che hanno la cultura del fare, per non essere una mera e rituale enunciazione di intenti, caratteristica tipica della politica di centrosinistra, esige risorse finanziarie cospicue.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GUGLIELMO ROSITANI

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. I beni culturali hanno sempre avuto una considerazione residuale nell'ambito della politica del Governo, il che ha comportato l'erogazione di risorse largamente insufficienti per la loro manutenzione e valorizzazione, in palese contrasto con l'unanime considerazione della forza attrattiva che essi hanno per il settore turistico e per l'economia nazionale.
Vorrei inoltre formulare una valutazione circa l'aspetto più nobile degli interventi pronunciati dai colleghi della sinistra: dovremo rassegnarci ad ascoltare ancora per qualche settimana la giaculatoria che descrive la loro bravura nei precedenti cinque anni, non avendo ancora completamente digerito la sonora sconfitta del 13 maggio. Sono stati così bravi che lei oggi, signor ministro, non è in grado di stabilire se stia peggio il Duomo di Milano o il Colosseo di Roma! Sono bravi, normalmente, nelle variazioni nominalistiche: li abbiamo sentiti parlare lungamente del fatto che finalmente il ministero si chiama «dei beni e delle attività culturali». Il nominalismo è la loro forza, ma ciò non ci deve preoccupare perché avviene in tutti i settori. Hanno risolto il problema dei ciechi chiamandoli non vedenti, quello dei sordi chiamandoli non udenti, mentre il mio amico Carmelo Porcu continua a dirmi che vorrebbe essere chiamato storpio ma vedere i propri problemi risolti, anziché essere chiamato non normodotato ed avere problemi completamente irrisolti!
Dato che abbiamo la cultura del fare, trovo particolarmente confortante che il suo intervento di oggi sia stato considerato deludente dai colleghi della sinistra: avrei avuto molte remore nei suoi confronti se avessi ascoltato parole di elogio!
L'ultima considerazione verte sulle questioni della libertà e dell'arte di Stato: signor ministro, vorrei che si considerasse libero di essere interventista almeno quanto gli uomini della sinistra. Da vent'anni cerco di fare in modo (mi dispiace che il collega dell'Emilia-Romagna non sia più qui) che il museo di Brescello di Giovannino Guareschi riceva un finanziamento perché si tratta di arte e di cultura e perché 45 mila persone lo visitano, anche se non fa parte di nessun circuito pubblicizzato. Dato che si tratta di Giovannino Guareschi, la regione Emilia Romagna e la provincia non hanno mai conferito un finanziamento; il comune fa eccezione, perché guadagna con i ristoranti, i bar, il caffè, gli alberghi. Da vent'anni cerco di far capire che meritano cittadinanza in Italia le opere di Brasillach, i romanzi di Céline, la poesia di Ezra Pound: il Minculpop è da quella parte. Vorrei che lei, signor ministro, si sentisse libero di intervenire nella stessa misura degli uomini della sinistra in questi cinquant'anni. Non si preoccupi, sia assolutamente tranquillo e sia fiero di riferire al Presidente del Consiglio la grande delusione che lei oggi ha suscitato nei colleghi di sinistra: essa costituisce il miglior augurio per il lavoro che certamente il Governo di centrodestra saprà svolgere.

ANTONIO RUSCONI. Appartengo all'opposizione, ma mi sento di ringraziare il ministro: considero la sua relazione come un'apertura del dibattito e non altro, non poteva essere diversamente essendo il primo intervento; penso che sia compito di tutti costruire un clima in cui - almeno in Commissione - il primato lo abbiano i contenuti e vi sia la disponibilità reciproca ad ascoltarsi e ad ascoltarci.
Sono altresì lieto che correttamente il ministro abbia evidenziato alcuni aspetti del buon lavoro svolto dal suo predecessore, il ministro Melandri, che ringraziamo. Mi limiterò ad alcune segnalazioni riguardanti lo sport, che rischia di essere il parente povero per quanto riguarda l'aspetto legislativo, con riferimento alle Commissioni e all'attività del Parlamento. Eviterò critiche perché sono inopportune, dato che ancora non abbiamo cominciato a lavorare; tra sei mesi sarò qui a verificare che cosa si sarà fatto, magari insieme.
Lei ha parlato di vigilanza e di diffusione dello sport: sono d'accordo quando dice che il Governo non deve invadere - guai se il Governo lo facesse e politicizzasse il mondo dello sport - ma sicuramente oggi, e qualcosa è stato fatto nell'ultima legislatura, vi è bisogno di regolamentare lo sport. Proprio oggi i giornali hanno dato grande evidenza ad una interrogazione dell'avvocato Campana sul limite alla presenza dei giocatori stranieri nel nostro campionato, su quello degli ingaggi e dei costi, e sulle conseguenze che comporta nel settore giovanile. Ciò è un dato di moralità se si pensa che lo sport più professionistico, la NBA, ha dei tetti agli ingaggi (ricordo che abbiamo appena assistito alla finale di Champions league tra due società, il Bayern Monaco e il Valencia, che hanno tetti d'ingaggi che arrivano alla media della classifica italiana).
Vorrei soffermarmi sul mondo dilettantistico, che mi sta più a cuore, e su quello che è chiamato della promozione sportiva. Probabilmente a noi legislatori dovrebbe interessare di più quella che è chiamata attività di base, che è un mondo dello sport con molte attinenze con quello della prevenzione e dell'istruzione.
Mi riferisco alle piccole società sportive che oggi subiscono una pressione fiscale ingiusta. Dobbiamo andare verso la defiscalizzazione, se non addirittura verso l'incentivazione delle attività sportive. Quando parliamo di crisi del totocalcio e di proventi che vengono meno per le grandi società, che si riversa a cascata sulle diverse società, dobbiamo pensare che un contributo di 4 milioni diventa di 500 mila lire per le piccole società sportive, significa farle chiudere.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FERDINANDO ADORNATO

ANTONIO RUSCONI. E parlare di tutela dei giovani significa parlare anche di questo.
Nella sua relazione, lei ha toccato il tema della tutela della salute con riferimento al doping. Innanzitutto vorrei che il problema fosse affrontato in maniera meno scandalistica (le irruzioni alle cinque di mattina personalmente non mi entusiasmano) perché è una realtà importante. Al riguardo le segnalo due altri aspetti che sono meno focalizzati ed hanno meno evidenza: uno è il doping nel mondo giovanile - solo nel ciclismo è stato evidenziato come i controlli siano minori nei confronti delle promesse e degli allievi -, l'altro è definito genericamente tutela della salute nelle pratiche sportive. Le cifre sono molto diverse: c'è chi parla di 10, 12 milioni, chi di 6 milioni di praticanti sportivi, perché le statistiche si differenziano a seconda dell'inserimento degli enti di promozione sportiva o solo degli affiliati alle federazioni agonistiche del CONI. Assistiamo a tutt'oggi ad un'assurdità: per l'attività agonistica, quella più seguita, dai 12 anni in su, esistono i centri di medicina sportiva, mentre per l'attività amatoriale o sotto i 12 anni, è sufficiente il certificato di un medico generico. Occorre rispondere in tempi brevi, anche se questo richiederà risorse e costi, perché le persone meno tutelate sono verificate attraverso una visita meno circostanziata e specifica. Deve essere obbligatorio l'incremento della pratica dei centri di medicina sportiva.
Infine, non ho capito l'aggettivo terribile che lei ha riservato al credito sportivo. Sono fiduciario CONI da dieci anni e anche sindaco, avendo mantenuto la carica nel mio piccolo comune. I comuni italiani hanno concorso al risanamento degli ultimi anni ma quando il credito sportivo propone mutui a tassi anche bassi - il 2, il 3, il 4 e mezzo per cento - essi non sono in grado di accedervi. È necessario dunque trovare nuove strade di incentivazione all'investimento, soprattutto per il completamento delle strutture sportive e sportivo scolastiche. Qualunque riforma - io difendo quella dei nuovi cicli della scuola di base - che il Governo affronterà per la scuola dell'obbligo, dovrà dare risalto e un ruolo diverso all'educazione fisica sin dal primo anno.
Per i comuni medio-piccoli si deve favorire la creazione di fondi a perdere, pagando il 20, il 30, il 40 per cento (in tal modo diventa interessante ciò che propone il credito sportivo) soprattutto per risolvere la carenza di strutture scolastico-sportive, la cui utilizzazione per le attività sportive è troppe volte demandata alla benevolenza degli organi collegiali. Data la carenza di strutture sportive che ha il nostro paese, soprattutto nei piccoli comuni, questo problema deve essere risolto con un chiarimento definitivo.

ANTONIO PALMIERI. Desidero esprimere un augurio personale al ministro, al quale sono legato da un'antica amicizia.
Farò un intervento monotematico anzi, per meglio dire, monotelematico, riassumendolo in una sola parola: Internet, ossia l'utilizzazione delle nuove tecnologie in funzione di una serie di possibilità positive per il ministero da lei presieduto. Internet significa valorizzazione dei siti - intendendo quelli museali, artistici - attraverso la comunicazione, per il marketing territoriale, perché è uno strumento che consente di avere una vetrina aperta 24 ore su 24 e di erogare servizi attraverso la rete. Inoltre è uno strumento che consente di agevolare il lavoro di riorganizzazione: per esempio si pensi alla catalogazione dei database, cioè un materiale utile per altri supporti multimediali che favorirebbero quell'opera di sensibilizzazione delle masse, per usare un vecchio termine, ma soprattutto dei giovani. Per l'utilizzo dello strumento telematico credo che non occorrano particolari leggi; vi è però la necessità di mettere in piedi una serie di iniziative, che peraltro sono già in essere in alcune realtà italiane da parte di alcuni enti locali, che potrebbero costituire un utile case history per il Ministero dei beni e delle attività culturali.
Sicuramente, il mezzo permette di coniugare antico e moderno: non a caso la parola sito implica sia quello artistico, sia quello di Internet. È uno strumento che non ci consentirà di lavorare meno, ma sicuramente di lavorare meglio.

MARCELLO PACINI. Desidero fare due brevissime osservazioni, precedute da un apprezzamento per la relazione del ministro, che mi è sembrata improntata ad una grande apertura verso questa Commissione, di cui prendiamo atto con piacere.
Un apprezzamento specifico riguarda le modalità di concessione delle deleghe con l'introduzione dei progetti-obiettivo. Credo che questa sia una novità, di grandissimo rilievo, che si sposa con la filosofia del Governo improntata alla cultura del fare, che vuole misurare i risultati conseguiti e la qualità delle proprie azione politiche.
Pur apprezzando il discorso delle deleghe per progetti-obiettivo, desidero sottolineare, senza voler assolutamente spaventare, l'ovvia conseguenza che per ciascuno dei progetti-obiettivo emergerà un problema preliminare o quanto meno contestuale circa le ipotesi di fondo e quelle culturali che presiedono alla realizzazione dell'obiettivo. Si passa, infatti, da un discorso generico di «gestione per area» ad uno invece molto più netto, finalizzato a gestire la realizzazione dell'obiettivo.
Chiedo, allora, al ministro, di essere coerente con i grandi intendimenti che improntano la filosofia complessiva del Governo: intendo alludere particolarmente all'intenzione di diffondere nel nostro paese il principio della sussidiarietà, da noi ancora quasi del tutto nuovo. È un momento questo delicato e mi rendo conto che nei beni culturali si corre il rischio di fare delle vere e proprie guerre sullo spazio da concedere alla sussidiarietà, nel senso che dipende anche dalla sensibilità del singolo il delegare o meno alla periferia ampi aspetti della tutela dei beni culturali.
Il ragionamento dovrà essere declinato ed approfondito, ma si sposa anche con il più volte richiamato caso di Pisa, che prendo ad esempio come fatto emblematico della difficoltà del problema. Non conosco il caso specifico, ma ritengo che si debba prendere molto sul serio la controparte, l'opera Primaziale di Pisa, che dopo mille anni ci ha dato un grande dono: quando ancora non esisteva lo Stato italiano, già si lavorava per conservare quell'opera magnifica che è il Campo dei Miracoli. Di conseguenza, non si può trattare l'opera Primaziale alla stregua di un qualunque ente di un piccolo comune dell'Italia. Il problema allora diventa estremamente difficile: come si riesce ad applicare la sussidiarietà in casi così delicati?
Voglio aggiungere infine una semplice domanda al ministro su un tema del tutto diverso, che non è stato citato. Mentre si parlava con enfasi di regionalismo, negli ultimi anni in Italia si è manifestato, quasi come un contrappeso, un ritorno alla valorizzazione dell'italianità all'estero. E questo Governo ha voluto sottolineare l'importanza dell'italianità all'estero istituendo un ministero ad hoc.
Mi chiedo, rivolgendo la domanda al ministro: ritiene opportuno intraprendere una iniziativa, anche solo di natura ricognitiva, sullo stato dei nostri beni culturali all'estero? Non sulla cultura italiana all'estero o sugli istituti di cultura, ma sui beni culturali, che costituiscono il retaggio architettonico ed artistico che gli italiani hanno lasciato in Europa, in America latina, in Thailandia o in altri luoghi, della propria capacità creativa.

TITTI DE SIMONE. Non sottolineerò il minimalismo o i silenzi della relazione del ministro, il cui profilo politico mi pare molto chiaramente di stampo liberista, improntato ad un'idea di mercato e della cultura intesa come prodotto. Signor ministro, il salto di qualità di cui lei parla, si traduce, per sua stessa ammissione, semplicemente in una politica di rilancio delle privatizzazioni, mediante l'affidamento ai privati dell'attività di valorizzazione e promozione dei beni, delineando una situazione di monopolio per alcune parti dei servizi di gestione e di accesso alla cultura. Come capogruppo di Rifondazione Comunista in Commissione dichiaro che le nostre posizioni sono di totale dissenso rispetto a questa impostazione.
Mi vorrei soffermare sul tema, che mi pare carente nella relazione, del diritto all'accesso alla cultura che è oggi messo in discussione, non solo dalle politiche di privatizzazione rilanciate dal suo programma, ma più in generale da una supremazia del mercato su questi diritti costituzionali. Siamo a favore di una cultura di tutti e del sostegno pubblico ad essa: ci batteremo con molta forza e determinazione contro la subordinazione della cultura ai parametri mercantili ed alla monetizzazione aziendale. Chiediamo che cosa si intenda fare per garantire questo diritto e quali saranno, in questo quadro liberista, gli investimenti stanziati dal ministero soprattutto per quanto riguarda i giovani: signor ministro, lei stesso prima riportava il dato della maggiore affezione delle nuove generazioni (anche se non bisogna generalizzate) allo stadio piuttosto che alla tutela del Colosseo o di altri monumenti, che invece rappresentano per la città e per la comunità la possibilità di identità e di sviluppo. È dunque necessario porsi il problema degli strumenti da offrire alle nuove generazioni: credo che la gratuità sia elemento fondamentale per consentire l'accesso e la formazione, anche professionale, legata al mondo della cultura. Vorremmo capire quali sono esattamente i progetti del ministero riguardo a questi problemi.
In passato abbiamo formulato proposte che vertevano sulla gratuità e la necessità di offrire pacchetti di servizi ai giovani per consentire l'accesso a musei, teatri, cinema; riteniamo che sia necessario sviluppare tale politica anche riguardo all'offerta di spazi culturali, perché mi sembra piuttosto evidente che nel nostro paese esista una carenza di infrastrutture e spazi (sale di incisione, sale prove, uso di Internet).
Vorremmo inoltre comprendere l'orientamento del Governo circa la legge sul teatro, che è stata richiamata più volte: precisiamo che siamo a favore di una legge nuova, che riesca ad intaccare i privilegi e gli aiuti che sono stati spesso gestiti in modo monopolistico e che possa aiutare davvero lo sviluppo e la crescita delle varie realtà, riconoscendo le piccole e medie compagnie teatrali che rappresentano una grande ricchezza e favorendo la possibilità di investimenti sugli spazi teatrali. È necessario agevolare i teatri stabili, i festival, le compagnie. Vorrei precisare, senza alcuna discriminazione, che non è vero che non esiste una cultura di destra o di sinistra: si fanno scelte, legate ad orientamenti, che però debbono saper rispondere a parametri qualitativi, innovativi, di valorizzazione culturale, riguardo ai quali vorremmo conoscere più chiaramente gli orientamenti del suo ministero.
Crediamo che vi sia l'esigenza di aprire una discussione approfondita sul varo di una vera legge antitrust poiché, nel nostro paese, esiste una condizione di monopolio: siamo contro i monopoli culturali, di qualsiasi colore, e riteniamo che il precedente Governo abbia gestito male questo tema. È necessario contrastare il monopolio di cartelli che stanno controllando in modo determinante la produzione, la distribuzione, i diritti di rete e persino l'apertura delle sale cinematografiche in gran parte delle città italiane.
Bisogna dare risposte chiare, fuori dalle logiche mercantili, anche per quanto riguarda l'investimento sulla tutela e la valorizzazione dei beni: signor ministro, lei richiamava prima la questione del meridione così ricco di patrimonio e così povero di investimenti; solo il sostegno dello Stato è in grado di valorizzare il patrimonio artistico e culturale, che può rappresentare uno sbocco professionale ed occupazionale per molti giovani qualificati e laureati.
Per ultima, vorrei citare la questione che riguarda la cultura delle donne: esiste una persistente esclusione delle donne dai posti direttivi della cultura in particolare nel teatro, anche se si sta verificando una crescita della presenza femminile in ruoli, solitamente maschili, come quelli della regia. Credo che vi sia l'esigenza di valorizzare nell'arte e nella cultura, le opere e la creatività, il talento delle donne del nostro paese. Bisogna lavorare perché si rafforzi la presenza di archivi, di centri di documentazione (che già esistono), la promozione di scuole pubbliche d'arte, affinché si compia una chiara scelta di continuità nei finanziamenti ai progetti volti alla promozione della cultura di genere, a sostegno delle biblioteche, delle librerie, degli archivi delle donne che rappresentano una parte importante della cultura di questo paese. È inoltre necessario perseguire una politica di presenza paritaria nelle commissioni pubbliche per quanto riguarda concorsi, premi, audizioni, nelle commissioni ministeriali ed in tutte quelle che giudicano, in base alla qualità, l'attribuzione di finanziamenti pubblici.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Urbani e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.45.



Seduta di martedì 17 luglio 2001





La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso
impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione del ministro dei beni e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, il seguito dell'audizione del ministro dei beni
e delle attività culturali, Giuliano Urbani, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Ricordo che nella seduta del 10 luglio il ministro ha illustrato la relazione e si sono svolti alcuni interventi dei colleghi, che proseguiranno
nella seduta odierna.
Ringrazio il ministro per la sua presenza e do la parola ai colleghi che hanno chiesto di parlare.

ANDREA GIORGIO FELICE MARIA ORSINI. Signor presidente, tengo molto a questo intervento, avendo ascoltato con grande interesse,
nella scorsa seduta, sia la relazione introduttiva del ministro sia gli interventi dei colleghi della maggioranza e dell'opposizione. Devo dire
di aver apprezzato che una bella relazione, come quella del ministro Urbani, sia stata lo spunto per un dibattito «alto» e interessante,
anche nelle divergenze di valutazioni - ovvie e legittime - dalle quali mi pare sia nata una discussione che pone problemi importanti: credo
che questo sia di buon auspicio per il futuro dei lavori della Commissione. Devo aggiungere che, della relazione del ministro Urbani, ho
gradito particolarmente la concretezza, la capacità di parlare di problemi reali e di evitare di perdere troppo tempo su scenari generici o su
questioni di visione generale. Questo per due ragioni: la prima perché un po' di sano realismo e la capacità di concentrarsi sulle cose da
fare, piuttosto che sugli scenari generali, sono indizio di quella capacità di buon governo liberale che significa anche far funzionare gli
ascensori nei musei, garantire l'aria condizionata e far sì che i ristoranti o i book shop nei musei funzionino. Credo che la qualità
dell'azione di governo e la qualità del sistema paese si misurino sul funzionamento pure delle piccole cose, anche in un mondo come
quello dei beni culturali, della cultura e dello spettacolo, che rappresenta uno dei biglietti da visita del nostro paese.
Ho apprezzato il profilo della relazione del ministro anche per un'altra ragione: qualche collega, tra i quali l'onorevole Grignaffini, ha posto
(giustamente sotto l'aspetto del metodo, ma non ne condivido, naturalmente, il contenuto nel merito) il problema di quale debba essere il
profilo dell'azione del ministro. Dico ciò, proprio perché come è stato giustamente affermato, dobbiamo essere molto lontani non soltanto
dal modello del Minculpop, come è ovvio, ma anche da qualunque modello di Stato interventista sulla cultura. Attuare una politica
culturale significa perseguire un indirizzo che consenta alla cultura di crescere e valorizzarsi; significa far crescere tutto ciò che è parte della memoria storica, della
identità e della capacità di un paese di progettare il proprio futuro non solo in termini di infrastrutture, bilancio e di quei grandi temi di cui
questo Governo si occuperà, ma anche di idee e di capacità di sviluppo critico. È fondamentale che il Governo, lo Stato e le istituzioni
pongano le condizioni affinché questo avvenga, ma che le pongano nel modo più neutro e avalutativo possibile rispetto ai contenuti, in
maniera tale da evitare qualunque sospetto di strumentalizzazione, di collateralismo e di utilizzo di quel rapporto fra politica e cultura che
non sempre in Italia, nel secolo appena trascorso, è stato così neutro e astratto.
Da questo punto di vista, credo che il passato recente - ricordato da alcuni colleghi dell'opposizione come uno dei biglietti da visita dei
precedenti Governi - non sia un ottimo esempio, se non altro perché, anche se certamente si è investito molto nella cultura e nello
spettacolo, è innegabile che lo si sia fatto in un'ottica di collateralismo - credo piuttosto evidente e universalmente riconosciuto - che non
mi sembra un buon biglietto da visita, e comunque non lo sarebbe per il nostro Governo se tentasse di fare qualcosa di analogo, ma a
parti invertite.
Bisognerà compiere, a mio avviso, un grande sforzo di rigore, di serenità e di equilibrio, affinché questo rapporto fra politica e cultura si
svolga in un ambito di neutralità; è vero che rimane comunque sempre un rapporto falsato, perché è chiaro come la cultura non sia mai
neutra, ma sia un sistema di valori e quindi ha delle ovvie e fortissime intersezioni con le scelte politiche, di campo e di merito. È del tutto
evidente che siamo di fronte ad un rapporto problematico, ma è bene che rimanga un rapporto in termini dialettici e che si faccia un salto
di qualità, non nel rovesciare errori del passato commettendone di eguali, ma semplicemente tornando ad una condizione di massima
neutralità ed avalutatività da parte dello Stato e delle istituzioni per ricostruire una parità di condizioni fra chi opera nell'arte, nella cultura e
nello spettacolo.
Ritengo che questo profilo di Stato non interventista vada analizzato anche sotto altri aspetti, tra i quali ne cito uno già in precedenza
evidenziato: quello delle sovrintendenze. So bene che esse hanno svolto una funzione preziosa nel contrastare una serie di possibili
scempi e danni, anche gravi, al nostro patrimonio artistico e monumentale; non è però un mistero che, talora, le sovrintendenze siano
anche state espressione di una cultura del «non fare» che spesso si è posta in termini più antagonistici che collaborativi con gli enti
locali. Ricordo l'esempio del collegio dal quale provengo, cioè la sovrintendenza di Verona che ha competenze che riguardano la parte
occidentale del Veneto; vi sono comunque altri casi nei quali il rapporto fra sovrintendenze ed enti locali non si svolge in termini
collaborativi, ma di veti, contrapposizioni e negazioni sistematiche.
Credo che questo non sia un approccio costruttivo, ovviamente non perché le sovrintendenze debbano ratificare e mettere timbri su ciò
che gli enti locali decidono ma perché l'ambito della sovranità, espressa in forma decentrata dai comuni e dalle province, non può essere
considerato un nemico da chi svolge funzioni di tutela che dovrebbero andare nello stesso senso.
Mi auguro che il ministro vorrà dare degli indirizzi alle sovrintendenze e che questi ultimi tengano conto di tale aspetto. Ringrazio il
ministro Urbani per il profilo che sta dando al suo ed al nostro lavoro: credo che siamo partiti molto bene e che potremo lavorare in modo
molto positivo.

GUGLIELMO ROSITANI. Desidero richiamare l'attenzione del ministro sulla sua relazione svolta nella precedente audizione e che da
qualcuno è stata definita deludente. In effetti si è trattato di una relazione che ha avuto caratteristiche particolari: l'essenzialità e la
chiarezza. Queste sono caratteristiche appartenenti a coloro che sanno e non a coloro che vengono con il «compitino» preparato dai vari
collaboratori. Rivolgo pertanto un omaggio al ministro che ha rispettato l'intelligenza dei componenti la Commissione e quindi lo ringrazio anche per la sua essenzialità, umiltà e chiarezza.
La sua relazione, a mio avviso, è stata esaustiva e molto interessante; ciò non significa che la essenzialità consenta di affrontare tutti i
problemi che ruotano attorno a questo grande mondo della cultura. Vorrei pertanto richiamare l'attenzione del ministro su un settore
importante della cultura: quello dello spettacolo. Vi sono responsabilità storiche del centro - della vecchia Democrazia cristiana - che ha
lasciato alla sinistra la gestione monopolistica della cultura in Italia fino a ieri, vi è il merito della sinistra che ha avuto la capacità di fare
questo ed il demerito di chi ha lasciato ad essa questo monopolio.
Quando si opera in regime di monopolio è inevitabile che subentrino il clientelismo e l'ideologia politica, con la conseguenza di gravare
sulla qualità della cultura. Noi abbiamo subito, in questi cinquant'anni, il monopolio della cultura gestito - sottolineo il termine gestito - da
parte della sinistra. Abbiamo avuto grandi individualità ed alcuni elementi, indubbiamente, di grande valore, ed il fatto che la cultura venga
gestita, non le consente, quasi sempre, di svilupparsi e migliorare in termini qualitativi, non consente la concorrenza e quindi il confronto,
non consente di arrivare a quello che la cultura, in tutti i settori, ma in particolare in quello dello spettacolo, dovrebbe essere, cioè arte,
creazione, libertà, creatività e fantasia. Questi valori sono stati oggettivamente mortificati dalla gestione monopolistica di fronte alla quale,
signor ministro, la Casa delle libertà non può far finta di niente o peggio, permettersi il lusso di continuare ad operare come è stato fatto
nel settore della cultura sino ad oggi.
Signor ministro, richiamo la sua attenzione sulla necessità di fare il contrario di ciò che è stato fatto finora nei settori della cultura e
particolarmente dello spettacolo. Essi hanno subito gli effetti dell'applicazione di un concetto, l'assistenzialismo, che è la conseguenza
dell'esistenza di monopoli: la cultura, in Italia, è stata assistita fino a ieri, nei vari campi del cinema, del teatro, della danza ed in tutti i
settori artistici; non attribuisco la colpa a nessuno, ma si tratta di una realtà di cui dobbiamo prendere atto onestamente. È necessario
allora interrompere questa pratica, stabilendo regole per il settore del cinema (regolato da una legge molto vecchia), per quelli della prosa
e della musica leggera (per i quali non esistono leggi), per quello della musica classica (vige una legge sugli enti lirici che non ha nulla a
che vedere con la cultura e con l'attività della musica classica), mentre per il settore della danza è in vigore una legge superata.
Dobbiamo fornire regole e dal 1995 stiamo lavorando in tale direzione; il mio partito è stato il primo nella storia della Repubblica italiana a
presentare proposte di legge sulla prosa, sulla musica leggera e sulla danza. Ci riconosciamo il piccolo merito di aver costretto il Governo
di centrosinistra - o comunque di averlo stimolato - a presentare disegni di legge sulla musica e sulla prosa. Si tratta peraltro di due
disegni di legge «mastodontici», il cui iter si è interrotto nelle Commissioni: ciò è avvenuto non a causa dell'ostruzionismo
dell'opposizione, ma perché, oggettivamente, si volevano riproporre istanze centralistiche (per citare l'amico Bossi) che perpetuavano la
forma del controllo diretto, immediato, asfissiante del potere politico, confermando la linea dell'assistenzialismo. In quella circostanza, la
Casa delle libertà, ha presentato le proprie proposte alternative, ma anche il centro e qualche frangia della sinistra ha avanzato critiche
nei confronti di quei due disegni di legge, con la conseguenza di bloccarne l'esame. Dobbiamo cercare di fare tesoro delle varie idee,
riconoscendo un merito a chi, con molto ritardo, alla fine ha indicato alcune proposte.
La Casa delle libertà deve percorrere la strada del superamento dei motivi del disagio qualitativo della cultura in Italia, per giungere ad una
sorta di liberalizzazione del settore, ponendo fine alla pratica dell'assistenzialismo: è necessario che vi sia un certo grado di intervento pubblico, «sposato» all'intervento privato secondo una logica di confronto e di partecipazione tra pubblico e privato. Dobbiamo cercare di favorire la concorrenza, stimolando i giovani autori a scrivere, a proporsi in concorrenza con i «soliti noti», innescando quel circuito virtuoso attorno al quale la libertà, la creatività, la fantasia, l'arte ritornino ad operare nella nostra nazione. Il gruppo parlamentare di alleanza nazionale ha già avanzato le proprie proposte di legge ed in questi giorni sarà presentata quella sul
cinema, dove vengono proposte soluzioni «rivoluzionarie» (uso questo termine tra virgolette): attraverso facilitazioni fiscali ed interventi
esterni al settore della cultura è possibile favorire la creazione di presenze utili al suo miglioramento. Siamo dell'avviso che si debba avere
il coraggio di predisporre una funzione del Governo che, in questo settore, non può essere soffocante, non si può controllare la nomina del
sovrintendente o dell'usciere di un certo museo. Dobbiamo creare forme di collaborazione, esaltando le culture locali attraverso l'adeguato
riconoscimento di autonomia alle regioni, a differenza delle proposte contenute nei disegni di legge presentati dal centrosinistra che
prevedevano, ad esempio, che i programmi regionali nel settore della cultura fossero preventivamente approvati dal Governo centrale.
Crediamo che l'ente locale, il grande comune, la grande provincia debbano essere messi nelle condizioni di poter esaltare le realtà locali,
nell'ambito delle indicazioni del programma nazionale. Queste sono, a grandi linee, le idee dei deputati di Alleanza nazionale e presumo,
della Casa delle libertà, (i responsabili dei vari gruppi si stanno attivando): speriamo di poter formulare presto proposte concrete da
sottoporre all'attenzione del ministro.
Signor ministro, le posso assicurare che nel mondo dello spettacolo c'è grande attesa: i due disegni di legge proposti dal centrosinistra
sono stati bloccati non perché vari deputati si siano svegliati una certa mattina, dichiarando che non avrebbero più votato a favore; ciò è
avvenuto perché tra gli operatori del settore - manager, titolari di compagnie, gestori del teatro, attori, autori - c'è stata una rivolta corale
contro l'impostazione di quei provvedimenti. Il mondo dello spettacolo ha bisogno dei valori della libertà, della creatività, della fantasia e
dell'arte, di questo nuovo respiro. La Casa delle libertà, facendo onore alla sua stessa definizione, deve varare gli strumenti legislativi
necessari a rivoluzionare un settore essenziale per la crescita civile e sociale della nostra nazione.

ANDREA COLASIO. Signor ministro, conoscendola ed apprezzandola da molto tempo come studioso, non avevo dubbi sulle sue doti di
equilibrio e sul modo in cui lei avrebbe disegnato scenari strategici del tutto dissonanti rispetto ad una gestione del ministero del tipo
Minculpop.
Lei, coerentemente, ha dichiarato che «nei beni culturali la politica deve entrare il meno possibile»: siamo d'accordo. Concordiamo con lei
sulla cornice entro cui operare, ma se la politica non deve entrare in tale ambito, al contrario abbiamo bisogno di declinare delle politiche
dei beni culturali innovative ed efficaci. Su questo punto, signor ministro, era forse legittimo aspettarsi una più puntuale focalizzazione
della sua strategia operativa. Lei, infatti, si è soffermato sulle competenze del ministero, ma non ci ha messi nella condizione di valutare
quali siano le priorità, quali i problemi e quali le concrete politiche istituzionali. Se questo suo atteggiamento interlocutorio sta a
significare che intende attuare le sue politiche di settore assumendo la Commissione come interlocutore privilegiato, non possiamo che
esserle grati per la correttezza istituzionale che informa il suo comportamento; rinviando quindi ad una fase successiva una più puntuale
valutazione di merito dei suoi programmi politico-istituzionali. Se questa è la ratio che informa l'audizione in corso, può essere utile il
tentativo di individuare assieme alcuni dei nodi, delle linee di frattura, con cui ci si dovrà confrontare nel breve periodo nella sede della
Commissione. È propedeutico, intanto, sgombrare il campo da un equivoco: quando, ad esempio, si parla della Francia e delle politiche culturali francesi, si ricorre alla vecchia metafora di Cravier: «Parigi ed il deserto francese». Il caso italiano - si dice - è diverso: non si può certo parlare di Roma e del deserto culturale
italiano: da noi ci sono le cento città, il policentralismo culturale, le antiche capitali. Tutto ciò è incontrovertibile; come lo è il fatto che,
accanto alle cento città, esistono le cento periferie e che gli squilibri territoriali dell'articolazione della domanda e dell'offerta culturale tra
centri e periferie, costituiscono uno dei grandi temi con cui le politiche del suo ministero dovranno confrontarsi assolutamente.
Forse un po' inopinatamente allora il sottosegretario, onorevole Sgarbi, ha dichiarato che «la devolution non ha nulla a che fare con l'arte»;
è forse opportuno, al riguardo, sospendere il giudizio, mentre credo sia condiviso da molti colleghi l'assunto che, sicuramente, il
federalismo ha molto a che vedere con le politiche dei beni culturali del nostro paese.
Diversi autorevoli colleghi, riportando una fonte UNESCO, a dire il vero un po' ottimistica, hanno ricordato la consistenza del nostro
patrimonio culturale, rappresentativo, a seconda delle fonti, dei due terzi o del 51 per cento del patrimonio culturale mondiale. Una
consistenza patrimoniale comunque rilevante cui (il ministro lo ha sottolineato) per tanti, troppi anni non sono state correlate politiche dei
beni culturali adeguate e conseguenti.
Lo svantaggio competitivo con gli altri grandi paesi europei non concerne quindi solo il mondo dell'impresa; un primo approccio
comparativo con realtà come Francia e Germania, evidenza, infatti, il differenziale in termini di spesa pro capite per la cultura: siamo fermi
a quota 112 mila contro le 212 mila della Germania e 248 mila della Francia. Spesso poi, durante i lavori di questa Commissione, si è
sottolineato il carattere residuale, marginale, parentetico e anche a volte casuale delle politiche culturali del nostro paese; politiche
connotate prevalentemente da una modalità di tipo difensivo: «I vandali in casa», «Per la salvezza dei beni culturali», «L'Italia storica e
artistica allo sbaraglio».
Sono solo alcuni dei titoli dei pochi volumi che, dagli anni Cinquanta e Settanta, si sono occupati del nostro patrimonio culturale: gli autori
sono personalità come Cederna e Bianchi Bandinelli, nonché la Commissione parlamentare Franceschini, insediatasi nel 1964 per una
ricognizione dello stato del nostro patrimonio. Il mutamento di scenario - ecco il punto rilevante sul piano politico istituzionale - inizia a
delinearsi verso la seconda metà degli anni Settanta proprio a partire dalle periferie e dai governi locali. L'accresciuto interesse per le
identità locali, la riscoperta delle nostre culture territoriali, di cui il nodo del federalismo è chiara articolazione istituzionale, hanno dato
voce ad un processo di territorializzazione della cultura e all'esigenza di una profonda riscrittura della trama dei rapporti intercorrenti tra
periferia e centro. È all'interno di tale quadro che si situa il nodo istituzionale della riforma del ministero, dei suoi assetti organizzativi e
funzionali. Un punto, signor ministro, su cui ci aspettiamo segnali che vadano nel senso della modernizzazione e del decentramento
funzionale. L'accorpamento di funzioni e competenze - i beni e le attività culturali - prima disperse tra dicasteri diversi va certamente nella
giusta direzione, delinea un superamento di quella vecchia segmentazione istituzionale spesso dannosa per l'efficacia e l'effettività delle
politiche.
Con l'istituzione delle sovrintendenze regionali si è solamente iniziato ad abbozzare un nuovo assetto delle articolazioni territoriali del
ministero; è in tal senso positivo che si siano decentrate funzioni in materia di vincoli, apposti oggi con delibera del sovrintendente
regionale. Ma quale grado di autonomia operativa e di gestione del bilancio si intende attribuire, signor ministro, a tali organismi?
Conferiamo intanto alle sovrintendenze la responsabilità in merito ai depositi temporanei, una procedura a tutt'oggi farraginosa e poco
attenta alle esigenze degli operatori nel territorio, come è stato sottolineato da molti colleghi. Attribuiamo allora alle sovrintendenze maggiore autonomia in termini di
individuazione delle priorità programmatiche, senza il sistema della navette con Roma che spesso ne mortifica la professionalità.
Inoltre, signor ministro, sarebbe importante se lei ci desse il suo autorevole parere in merito alle funzioni delle commissioni regionali per i
beni e le attività culturali, previste dalla riforma Bassanini e recepite da alcune regioni, che hanno determinato, come nel caso della
Toscana, problemi interpretativi rispetto alla titolarità dei loro costi gestionali. Come si attua la connessione tra regionalizzazione delle
sovrintendenze e le commissioni regionali miste? Si pensa a strutture operative, sul modello, ad esempio, delle Drac francesi, o a quali
altri modelli istituzionali si fa riferimento? Già in fase di redazione del testo unico sui beni culturali proprio questa Commissione aveva
sottolineato come fosse ancora debole il raccordo territoriale tra strutture ministeriali e governi locali. Chi ha ricoperto responsabilità
amministrative a livello di governi locali sa bene quanto sia difficile, a volte improba, la collaborazione con le sovrintendenze: va allora
istituzionalizzata la procedura della concertazione; va incrementato, come lei ha ben sottolineato, il processo dei flussi di informazione
reciproca sui programmi e le priorità territoriali.
In materia di sovrintendenze, ancora un solo rilievo: nella sua lettera ai dirigenti del 13 giugno lei ha sottolineato, a ragione, il sacrificio
personale dei funzionari che operano nelle sovrintendenze, i cui livelli retributivi non sono spesso adeguati all'assunzione di responsabilità:
cito come paradigmatico il caso della supervisione dei cantieri finanziati da enti terzi. Sono certamente condivisibili le sue affermazioni in
merito al rapporto tra domanda e offerta culturale: quest'ultima deve crescere in termini quantitativi e qualitativi. Una giusta politica
conservativa del nostro patrimonio si è spesso tradotta, infatti, in politica conservatrice e, come hanno rilevato molti colleghi, non è stata
in grado di assumere la fruizione del bene culturale quale elemento centrale delle politiche. Si pensi ad esempio alle politiche museali,
legate ad una concezione del museo come tempio, come caveau, come luogo chiuso e non inteso come ambiente attraente, aperto,
dotato di quei servizi aggiuntivi, non solo didattici ma anche di ristoro e relax che rendono appetibile e gradita la visita. La legge Ronchey
ha certo innovato, aperto la strada, con introiti globali pari a 63 miliardi, ma lei signor ministro, ha di fronte compiti molto gravosi. Proprio
perché non esistono solo i grandi musei, è importante capire come lei opererà in relazione al sistema museale territoriale, comprensivo di
centinaia di piccoli e medi musei, depositari della sedimentazione identitaria del nostro paese. A cominciare dallo statuto giuridico dei
musei statali, considerati erroneamente uffici distaccati, nuclei operativi delle sovrintendenze, senza bilancio, autonomia gestionale, staff
operativo, sprovvisti di adeguato statuto giuridico. I piccoli e medi musei sono poi certamente meno attraenti per l'attivazione dei servizi
aggiuntivi e necessitano di adeguata strumentazione e consulenza per la loro messe in rete.
Signor ministro, lei ha fatto cenno correttamente alla debole presenza di biblioteche nel nostro paese; lei sa bene come, accanto a questi
squilibri territoriali nella struttura dell'offerta, vi sia il grande problema della scarsa propensione alla lettura da parte degli italiani: il 65 per
cento non acquista mai un libro, a fronte di una quota minima, il 5 per cento, di lettori abituali, per cui la figura del non lettore, anche tra le
giovani generazioni si caratterizza come figura forte, se non prevalente. Qui si aprono grandi opportunità per il ministero: è stato
importante, nel quadro del nuovo assetto organizzativo del dicastero, assumere come prioritaria la promozione del libro e della lettura,
nonché lo sviluppo dei servizi bibliografici, bibliotecari e nazionali, recependo su quest'ultimo punto, le sollecitazioni dell'AIB.
Signor ministro, lei ha detto giustamente che nella sua azione eviterà il ricorso allo strumento della legge, per non incrementare il nostro già ridondante sistema normativo, ma non ritiene sia necessaria una legge quadro sulle biblioteche? Una legge che, nell'assoluto rispetto delle competenze regionali in materia, affronti alcuni grandi temi irrisolti tra cui la territorializzazione dei servizi bibliografici, la predisposizione dei servizi bibliografici nazionali finalizzati e funzionali alla domanda territoriale, che agevolerebbe proprio le biblioteche più piccole, più deboli e periferiche. L'Italia difetta infatti di una bibliografia nazionale completa e tempestiva, di cataloghi
collettivi, di infrastrutture di rete, di servizi di fornitura delle registrazioni bibliografiche.
In ogni grande paese europeo vi è una sola istituzione che elabora le notizie bibliografiche che vengono poi recuperate dalle altre
biblioteche. In Gran Bretagna il tasso di conversione delle schede bibliografiche è pari all'84 per cento, in Italia si ferma ad un modesto 48
per cento (sono i bacini bibliografici territoriali per i cataloghi unici), con grande spreco di risorse.
Signor ministro, il nostro SBN (servizio bibliografico nazionale) costituisce al riguardo un preciso ed importante punto di riferimento, ma
come si intende garantire una sua migliore ricaduta a livello di intero sistema bibliotecario territoriale? Come si intende affrontare
l'anomalia - tutta italiana - delle sette o nove (a seconda dei diversi regolamenti ministeriali) biblioteche nazionali, una situazione che
contrasta con le raccomandazioni elaborate dall'IFLA che definiscono precisi compiti e funzioni per le nostre biblioteche nazionali? Signor
ministro, quale collaborazione funzionale, e quale più razionale divisione dei compiti prevede fra le due biblioteche centrali di Roma e
Firenze? Come intende poi operare per sollecitare la grande trasformazione del nostro sistema bibliotecario da «bene culturale»
caratterizzato ancora in termini, certamente nobili, di contenitore a servizio pubblico raccordato alle nuove tecnologie informatiche?
Lei, signor ministro, ha fatto benissimo a parlare dell'esigenza di un nuovo e diverso rapporto fra pubblico e privato, che sappia coinvolgere
quest'ultimo in una politica attiva di promozione del nostro patrimonio (penso alle sponsorizzazioni). Come intende affrontare allora, per
esempio, il tema - molto importante - delle dimore storiche? Mi riferisco alle ville vesuviane o alle ville venete, un patrimonio dell'intera
collettività da tutelare tramite un articolato sistema di vincoli? Non crede che si debba invece superare l'approccio meramente vincolistico
- figlio di una cultura burocratica e forse un po' autoritaria -? Probabilmente sarebbe opportuno rivedere - lo affermava prima di me qualche
collega - i criteri della deducibilità fiscale che andrebbero estesi a quelle manutenzioni ed a quei restauri che non sono funzionali solo alla
salvaguardia delle caratteristiche intrinseche del bene, ma anche alla migliore fruibilità del bene stesso. Allo stesso modo sarebbe
opportuno estendere la deducibilità fiscale a quelle ricerche storico-documentali necessarie per un restauro filologicamente corretto del
bene in oggetto.
In conclusione, signor ministro, nel riconoscerle enorme e grande onestà intellettuale e correttezza politica per aver sostenuto che,
nell'ultima legislatura, sono stati compiuti - la cito - importantissimi e positivi passi avanti, le chiedo, in merito alle politiche di spesa che
hanno visto le dotazioni del ministero passare dai 2.023 miliardi del 1996 ai 4.160 del 2000, se intenda assumersi in questa sede il
preciso impegno di dare continuità a tale trend positivo delle risorse canalizzate a favore della tutela e della valorizzazione del nostro
patrimonio storico-culturale, incrementando, di conseguenza, le disponibilità del suo ministero.
Nella consapevolezza, infine, della pur chiara divisione dei compiti tra chi assume la responsabilità di Governo e chi quella di opposizione,
formulo l'auspicio, signor ministro, che si possa, tuttavia, lavorare assieme per la crescita culturale del nostro paese.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor ministro, nel farle ovviamente gli auguri per il suo prestigioso incarico e per gli impegni che, insieme Parlamento e Governo, ci attendono nei prossimi anni, desidero anche esprimere l'apprezzamento della Lega nord per la semplicità e la concretezza con cui lei ha svolto la relazione introduttiva. Affermo con molta chiarezza ed umiltà che abbiamo ritenuto ovvio che lei non delineasse, in questa prima audizione, a pochi giorni dall' insediamento,
le linee della sua politica di governo in questo settore, ma che rappresentasse una elencazione dei problemi immediati che ha già avuto
modo di constatare.
Chi ha un po' di esperienza, come la mia e quella di altri colleghi ora presenti, sa perfettamente che, soprattutto in questo settore, molto
spesso l'attività legislativa si riduce allo studio ed alla presentazione di leggi settoriali, che riguardano alcuni capitoli ben precisi del
panorama dei beni culturali e la promozione della tutela dei beni monumentali. Tutto ciò perché le grandi riforme e le grandi problematiche
vengono normalmente affrontate dai governi, sotto forma di delega, per cui l'Esecutivo decide, come è anche giusto che sia, e le
Assemblee parlamentari esprimono i pareri, cercando di correggere ove necessario. A tale proposito, la scorsa legislatura è stata
illuminante; basta guardare l'elenco, che credo sia depositato in Commissione, delle proposte di legge di iniziativa parlamentare che
abbiamo approvato in questo settore: sono veramente limitate nel numero, riguardano soprattutto argomenti ben specifici ed a volte sono
ristrette ad un ambito prettamente locale, come d'altronde è anche giusto che sia, perché sono i settori che i parlamentari portano avanti
e caldeggiano, e per i quali cercano di ottenere finanziamenti.
Pertanto, signor ministro, la inviterei, allorché arriveremo a decidere i capitoli di finanziamento e le spese del suo dicastero, a battersi
come un leone per ottenere il massimo degli stanziamenti possibili per questo settore che, purtroppo, spesso rappresenta il fanalino di
coda nel nostro paese, ma che al contrario, come lei stesso ricordava, rappresenta una delle risorse maggiori dell'economia, anche per il
suo legame con il turismo.
Per rimanere in tema di turismo, devo ricordare che esso riguarda solamente alcune aree del paese, in particolare del centro e del sud. A
questo proposito, nelle scorse legislature, sono stati elargiti finanziamenti sia dallo Stato sia dalla Comunità europea; per questo
chiederei di fornirci nelle prossime settimane indicazioni su quale sia lo stato della spesa dei finanziamenti elargiti dalla Comunità
europea qualche mese fa, alle aree obiettivo 1; si trattava di una somma decisamente consistente, e credo giusto che il Parlamento sia
messo a conoscenza di come tali risorse (che saranno probabilmente anche le ultime che arriveranno al nostro paese in seguito
all'allargamento dell'Unione Europea ai paesi dell'est) vengano spese, di cosa si stia facendo e di cosa si intenda fare.
L'argomento principale sul quale vorrei soffermarmi riguarda le competenze; lei, signor ministro, ha ricordato, correttamente, in uno dei
passaggi della sua relazione, il problema di chi debba giudicare gli interventi attuati nel settore dei beni monumentali, affermando che
questo compito è demandato ai sovrintendenti provinciali le cui decisioni possono essere, talvolta, magari con interventi non sempre
ortodossi dal punto di vista istituzionale, fermate o modificate dalle autorità superiori (sovrintendenti regionali e lo stesso ministero).
Sappiamo che, in questo settore, il paese negli ultimi cinque anni ha fatto qualche passo avanti nel senso dell'autonomia e del
decentramento dei poteri, ma riteniamo che ciò non sia sufficiente; ricordo perfettamente che, nel 1997, il ministro Veltroni propose al
Parlamento di sperimentare l'autonomia delle sovrintendenze partendo da quella di Pompei; proposta che contestammo perché ci sembrò
sbagliato iniziare da un'area del paese, e soprattutto da un settore, che si trovava in una situazione particolarmente grave e difficile. Non
so se, a distanza di cinque anni, la situazione in quella sovrintendenza sia migliorata e se si stiano mantenendo quei livelli di efficienza ed efficacia che sarebbero consoni; so solo che, alcuni giorni fa, sul Corriere della Sera si leggeva che una delegazione di parlamentari europei è rimasta sotto il sole, insieme a centinaia di altri turisti, a causa di una agitazione sindacale dei dipendenti del luogo che si erano recati a visitare; agitazione legittima, ci mancherebbe altro, il personale ha tutto il diritto di tenere le
proprie assemblee. In questo caso però i visitatori non erano stati informati a sufficienza e soprattutto - come riportato dal giornalista - il
cartello che riportava le informazioni in inglese era scritto in maniera scorretta e assolutamente incomprensibile per qualunque cittadino di
lingua non italiana: questa è la prova evidente che, forse, qualcosa non va. Pertanto, credo che vi sia la necessità di effettuare una
ricognizione di ciò che sta accadendo nelle sovrintendenze.
La nostra ricetta è quella di giungere - anche in questo campo - con la necessaria tranquillità, e quindi senza forzare la mano, ad una
devoluzione di competenze, perché l'apporto delle regioni e delle province è fondamentale, non nel senso di attribuire qua e là qualche
piccolo potere che può essere poi messo sotto controllo e sotto tutela, ma nel senso vero di procedere ad una distribuzione dei poteri. So
perfettamente che questo non rientra nella prima fase dell'accordo di fondazione della Casa delle libertà (i beni culturali non vi rientrano),
però credo che questa sia la linea che, Governo e Parlamento - o perlomeno la maggioranza - dovrebbero seguire.
Un'altra osservazione riguarda il problema dello sport: in base alle leggi in vigore, il Governo detiene poteri di vigilanza che credo sia il
caso di mettere in pratica, con molta serietà; è notorio, infatti, come in questo campo vi siano grandissime problematiche. Alcuni sport,
ad esempio, soprattutto a livello giovanile e dilettantistico, non navigano certo in buone acque. Ogni tanto abbiamo tutti sentore, grazie ai
mezzi di comunicazione, di tali problemi e, quindi, credo sia il caso di fare una riflessione e di riservare ad essi un po' di tempo dei lavori
della Commissione in questa legislatura, anche perché si tratta di tematiche che, nel passato, hanno rappresentato un fanalino di coda.
Apprezziamo - ma ci sembra scontato - che lei non abbia alcuna tentazione di realizzare un Minculpop; ci auguriamo che, finalmente, si
arrivi ad un sistema nel quale anche il settore del cinema venga sovvenzionato dallo Stato secondo criteri di massima trasparenza,
tenendo conto della bravura di coloro che vi operano.
Mi sovviene un brano musicale di Giorgio Gaber, che ho ascoltato qualche settimana fa, che parla della differenza tra destra e sinistra, ed
a proposito del cinema afferma che, chi sa perché, un film di sinistra è noioso e un film di destra è di «cassetta»: questa è una logica
che, ovviamente, va superata e nella quale non vorremmo mai veder cadere né il Governo né il Parlamento.
È necessario prestare maggior attenzione al rapporto della promozione della cultura con la scuola e le televisioni: siamo un paese dove le
strutture scolastiche sono ancora molto indietro in questo campo, dove gli scolari della scuola dell'obbligo ritengono noiose alcune
materie come la storia dell'arte, perché vengono proposte in maniera, molto spesso, non accattivante. Ritengo infine che lo strumento dei
documentari televisivi e di Internet sia assolutamente da potenziare, ed in questo, il suo dicastero, signor ministro, può svolgere
certamente un ruolo importante.
In conclusione, vorrei ribadire che il sistema di lavoro del «giorno per giorno» va abbandonato: questo è un punto sul quale riteniamo si
debba operare. Lei giustamente ha affermato che non vuole conferire deleghe di settore ai suoi sottosegretari ma, bensì, deleghe ad hoc
per risolvere i vari problemi. Accanto a questo modo di lavorare - che riteniamo assolutamente corretto - è necessario che, anche a livello
parlamentare, si attui un processo di attribuzione delle competenze che veda le regioni decisamente coinvolte, magari anche ricorrendo
allo strumento - non voglio fare polemiche politiche - delle cosiddette «due velocità», là dove vi siano regioni pronte ad affrontare tale situazione. Se nella scorsa legislatura abbiamo proceduto all'attribuzione delle autonomie alle sovrintendenze in un singolo settore, possiamo fare lo stesso nel campo, ben più difficile, della
redistribuzione dei poteri - anche legislativi - in questo ambito.

GIUSEPPE GIULIETTI. Desidero affrontare alcune questioni specifiche, partendo da una riflessione che consenta di liberarci da alcuni
luoghi comuni. Sarebbe una buona abitudine - mi rivolgo all'onorevole Rositani -, ricordare che rappresentiamo tutti delle «parzialità». Il
collega, infatti, ha affermato che molti autori, molti registi e molti scrittori gli chiedono di bloccare alcune leggi; anch'io sento molti autori,
molti registi e molti scrittori che, in questa materia, sono nostalgici dei precedenti governi. Dico questo perché anche il mio è un punto di
vista parziale (è del tutto evidente), rappresenta ciò che sento, ciò che ascolto e anche chi mi vota (come il collega Rositani); quindi
nessuno di noi, in questo settore, rappresenta la totalità: insieme formeremo un opinione che si tradurrà in leggi, ma dobbiamo sapere
che rappresentiamo «parzialità», altrimenti ognuno di noi può credere di rappresentare lo Stato. Neghiamo lo Stato e poi ascoltiamo
interventi in cui lo Stato è forte e pesante come è giusto che sia in molte culture di destra e di sinistra (sappiamo che lo statalismo ha
una lunga tradizione in questo paese, certo non solo di sinistra). Diversamente, correremmo il rischio - credo il ministro lo sappia meglio
di me - di scoprire che, se interverremo da soli in alcune materie, gli altri paesi europei andranno per conto proprio, tutelando i loro autori,
i loro scrittori, il diritto d'autore e noi rischieremmo di aprire il nostro mercato ad ogni sorta di invasione; occorre quindi una grande misura
tra l'idea della liberalizzazione e la funzione dello Stato, come in tutti i paesi europei. L'Unione sovietica non c'è più, dobbiamo liberarci di
questo mito e discutere della realtà, guardando alle cifre; rischiamo invece di avere un problema di incremento e non di riduzione
dell'intervento dello Stato, di delega alle regioni - come ha detto molto bene l'onorevole Bianchi Clerici - che però richiede un raccordo tra
Stato e regioni.
La ringrazio, signor ministro, per la sobrietà del suo intervento, non solo in questa sede, ma anche per le esternazioni pubbliche; non so
se lei conferirà le deleghe, ma sicuramente alcuni sottosegretari dovrebbero avere una delega al «silenzio»: il silenzio nell'arte. Vi sono
anche libri bellissimi sul silenzio nelle rappresentazioni figurative e anche nelle altre arti. Mi pare che questo sia un problema, essendo tra
coloro che amano la discussione, la più ampia la più radicale possibile, occorre solo intenderci su qual è il momento della festa e quale
quello della legislazione, del confronto.
Ieri ho sentito proporre, dall'onorevole Sgarbi, l'abbattimento di numerosi monumenti italiani: può essere un'idea importante, l'avanzò
anche Marinetti, vi sono ampie tradizioni nel paese, e anche durante la rivoluzione sovietica vi furono manifestazioni in questo senso.
È stato proposto di abbattere il monumento di Udine e quello di Carlo Scarpa, può darsi che sia una scelta, non sono chiuso in questo
senso, anche per non essere accusato di essere conservatore. Forse il ministro pensa di organizzare una task force per la eliminazione
del «brutto» nell'arte. Come il ministro sa, anche in Italia vi fu qualche stagione nella quale si discusse del brutto e del bello in modo
pedagogico ed autoritario, ma è una problematica, che eventualmente, può essere riproposta. Detto questo, nel precisare che condivido
gli interventi finora svolti dai colleghi del mio gruppo, dagli amici della Margherita ed anche da altri, vorrei approfondire alcune questioni.
Il tema della difesa dei contenuti, sul quale il ministro è tornato - sia nella passata attività parlamentare sia nelle sue dichiarazioni più
recenti - mi sta a cuore, anche in rapporto alle nuove tecnologie. Mi riferisco alla produzione culturale italiana intesa come una grande
piattaforma culturale, anche nell'economia delle reti.
Mi riferisco al fatto che vi è un valore sicuramente estetico di conservazione - di grande valore come è stato sottolineato - ed un elemento
economico di questi «giacimenti» culturali, in senso tradizionale ed in senso moderno (come hanno affermato altri colleghi dei diversi
schieramenti).
La mia sensazione è che, su questioni come l'audiovisivo, le quote, il fondo di garanzia per il cinema, vi sia la necessità di recepire
pienamente le direttive europee. Prima di cominciare a modificare o a «smontare» il sistema di regole definito in sede parlamentare, dalla
Commissione e dal ministero, dobbiamo sapere che esiste un quadro di riferimento europeo e che ai nostri autori, registi, produttori e
scrittori devono essere concesse pari opportunità. Mi riferisco, per esempio, a questioni specifiche relative al diritto d'autore nella lotta
contro la pirateria, affrontate in modo molto attento, prima da Veltroni, come Vicepresidente del Consiglio dei ministri e poi dal ministro
Melandri; molto è stato fatto, ma occorre un coordinamento più stretto tra la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell'interno ed il
Ministero dei beni e delle attività culturali. Si tratta infatti di un grande problema che riguarda il legame tra poteri criminali e contraffazione:
non mi riferisco al ragazzo che copia il disco o il libro, ma alle grandi industrie della criminalità. Esiste una difficoltà di applicazione della
legge sulla contraffazione ed un problema di raccordo con il Ministero dell'interno: talvolta si oscilla tra un eccesso di repressione, magari
del consumo domestico, ed una mancanza di capacità di coordinamento riguardo alla grande contraffazione. Credo che questo sia un
tema molto sentito da tutte le associazioni riunite nella federazione antipirateria e che sia opportuno procedere - ripeto - ad un
coordinamento.
Le competenze sul diritto d'autore sono attribuite a vari organi: la Presidenza del Consiglio (il dipartimento), la SIAE, il Ministero
dell'interno per gli aspetti repressivi ed il Ministero dei beni e delle attività culturali. Durante il processo di riforma del ministero fu
ipotizzato un trasferimento di delega: sarebbe opportuna l'individuazione di una interfaccia molto forte, forse addirittura di una direzione
generale del ministero, comunque di un unico punto di coordinamento - non sta a me indicarlo - e di riferimento per la riforma della SIAE,
su cui c'è una proposta molto raffinata ed attenta curata dalle onorevoli Grignaffini e Chiaromonte (fu seguita, nella precedente legislatura,
dall'onorevole Bracco). Mi pare importante, nel quadro della riforma della SIAE, sollecitata da molti gruppi parlamentari in più occasioni,
porre il tema della tutela del diritto d'autore: ciò non significa conservare ma affinare, coordinare, recepire le direttive europee, facendo in
modo che i nostri autori non siano quelli maggiormente protetti - sono d'accordo con il collega Rositani - o assistiti, ma neanche l'inverso.
Viaggiando in Francia, Germania e Gran Bretagna, si scopre che in quei paesi è presente una forte difesa del diritto d'autore ed una forte
rivendicazione, rispetto agli Stati Uniti, della tutela del marchio del diritto d'autore, a fronte di un nostro procedere schizofrenico con un
eccesso di assistenza o con un difetto di tutela, che sono pratiche diverse. L'assistenzialismo è una degenerazione, molto diversa dal
senso dello Stato e dalla tutela del proprio patrimonio, dei propri autori, dei propri giacimenti culturali.
Vorrei porre il problema delle quote di produzione italiana ed europea: ho letto interviste difformi sul fondo di garanzia per il cinema e sulle
quote di produzione nazionali destinate ai grandi gruppi televisivi quali Mediaset, RAI, televisione digitale del futuro e La7 (se si
svilupperà). Abbiamo recepito con grande ritardo - questo fu uno degli impegni maggiori del ministro Melandri - le direttive europee sulla
quota di produzione europea e nazionale. La preoccupazione riguardava la forte presenza degli Stati Uniti in questo settore ed una
massiccia invasione di tutto il settore televisivo; avevamo verificato una riduzione del ruolo dei grandi produttori e distributori, di piccoli
produttori indipendenti, degli autori, degli sceneggiatori, di un complesso di figure professionali. Il problema ora è la richiesta del duopolio (che in Italia, ormai, è come il pensiero unico che detta le regole: questo è inaccettabile sia da parte della RAI, sia di Mediaset), della riduzione e della eliminazione delle quote.
Signor ministro, è necessario un raccordo con le altre norme europee perché sarebbe sciagurato e pericolosissimo - un segnale
devastante per il mondo culturale alla vigilia del festival di Venezia - ridurre le quote, oggi non ancora applicate, perché le autorità di
garanzia non verificano la mancata applicazione delle quote da parte dei gruppi industriali italiani. Ritengo perciò che dovremmo agire con
grande attenzione.
Cito un solo esempio: quando l'intero Parlamento pose la questione del rapporto tra televisione, spettatori minori e pubblicità, non riuscì
ad ottenere nulla, perché scalfiva un punto di percentuale a danno dei grandi gruppi, che si ritenne più opportuno tutelare al posto dei
cittadini. Critico in primo luogo me stesso, ma dobbiamo sapere che ci vuole un nuovo equilibrio in questo settore, perché è
rischiosissimo e pericoloso.
È stata approvata una legge sull'editoria: in questi giorni si dovrà varare un regolamento, di competenza della Presidenza del Consiglio.
Una parte della legge riguarda l'apertura del credito alle case editrici italiane: le quattro grandi società (Feltrinelli, De Agostini, Rizzoli,
Mondadori), il mondo delle associazioni di tutti i librai italiani, la piccola e media editoria, un comparto enorme che comprende l'editoria
specializzata e le librerie. Queste ultime poi rappresentano una parte non conservatrice del tessuto urbano: chi vive in una città di medie
dimensioni sa che la libreria è un punto di riferimento intelligente, di cui deve essere garantita l'esistenza, accanto ad Internet. La legge e
poi il regolamento disciplinano le modalità di erogazione del credito alle case editrici: al riguardo ritengo opportuno un raccordo molto
stretto tra i due ministeri.
Nella scorsa legislatura non riuscimmo ad approvare la legge organica sul libro, presentata dal ministro Melandri e sulla quale si svolse
una lunga discussione: non fu varata perché dovemmo affrontare prioritariamente la parte relativa all'editoria. Ci sono vari progetti sul libro,
sullo sviluppo della lettura, sull'opportunità di varare una legge organica: penso che esistano tutte le condizioni perché il Parlamento la
approvi a larghissima maggioranza, lanciando il segnale che esiste una forte attenzione, non in termini assistenzialistici ma strutturali,
per lo sviluppo della lettura e per favorire una serie di azioni positive già concordate. Credo che questo sia un lavoro che possa vederci
tutti protagonisti.
La questione del finanziamento per la ricostruzione di Umbria e Marche, in seguito al terremoto, è stata affrontata in più occasioni e può
apparire parziale, ma credo non debba essere dimenticata: oggi esiste il problema di garantire i finanziamenti, in occasione
dell'approvazione della prossima legge finanziaria, sia per la ricostruzione civile sia per la parte che riguarda il Ministero dei beni e delle
attività culturali. Mi permetto di rivolgere una sollecitazione al ministro Urbani, che si è impegnato su tale problema anche nella scorsa
legislatura: è necessario garantire i finanziamenti per completare la ricostruzione, ma anche impegnare il ministero, come è stato
confermato nell'accordo di programma tra la regione Umbria ed il Ministero dei beni e delle attività culturali; si tratta di un accordo
triennale, che prevede un monitoraggio per gli interventi in atto nei principali beni culturali. Mi riferisco a Fabriano e Tolentino, ma anche a
Santa Chiara d'Assisi, alla Rocca di Assisi, all'ex seminario di Gubbio, a Foligno: signor ministro, avanzo la richiesta di un suo possibile
incontro con i rappresentanti delle due regioni per effettuare un monitoraggio sui temi della ricostruzione, verificando quali siano le
emergenze da completare. Vorrei evitare l'atteggiamento di chi, passato all'opposizione, chiede risorse senza porsi alcun problema: non è
serio, sono a favore del rispetto delle regole e del rigore della compatibilità in ogni occasione. Si tratta di verificare l'entità dei
finanziamenti già stanziati, le modalità di erogazione e se sia possibile intervenire con serietà, senza clientelismo, attuando interventi già previsti: mi è
sembrato che l'accordo di programma cui mi riferivo fosse stato approntato con serietà ed intelligenza, realizzato da tecnici straordinari
che ho visto in azione sia nelle Marche sia in Umbria. Mi parrebbe importante, stimolando il ruolo della Commissione d'intesa con il
ministro, compiere un sopralluogo per verificare insieme ciò che deve essere ancora completato. Questo problema riguarda due regioni e
deve essere affrontato per tempo.
Da ultimo, vorrei porre la questione, sollevata durante un convegno molto importante, delle grandi feste di tradizione popolare in Italia: è un
tema abbandonato, in un paese che ha moltissime feste tradizionali, che sono sparite o che rischiano di essere considerate solo folklore,
mentre alcune hanno una forte tradizione storica, che è la parte migliore della nostra memoria; non si tratta di folklore, ma della memoria
di feste che affondano le proprie radici nei secoli, che non hanno bisogno di mance o di riprese televisive clientelari, ma di aiuto, di
defiscalizzazione, di coordinamento (anche dal punto di vista dei calendari dei programmi). Talvolta si può intervenire anche con poca
spesa: mi sembra opportuno intervenire su argomenti che nel lavoro di Commissione rischiano di sparire e che invece meritano di essere
discussi più approfonditamente in seguito.
Ringrazio il ministro per l'attenzione: ho ascoltato alcuni interventi che hanno fatto riferimento alla «pesantezza» dei precedenti governi e
a questa sorta di rivisitazione del cinquantennio della storia precedente: collega Rositani, sottolineo - perché resti a verbale - che ho
un'idea diversa dalla sua. Spesso ho verificato un eccesso di flessibilità, ma non di attenzione: forse avremmo dovuto essere più attenti
alla formazione pubblica, allo spirito pubblico e ad un intervento intelligente nel settore dei beni culturali.
Ringrazio nuovamente il ministro Urbani, ma anche quelli che lo hanno preceduto: i ministri Veltroni e Melandri. Signor ministro, sono
convinto che la parte sostanziale della loro impostazione, che ritengo importante e da confermare, perché seria, europea e condivisa,
troverà il suo assenso e quello della Commissione.

GIOVANNA MELANDRI. Vorrei ringraziare il ministro Urbani, che conosco come persona moderata ed intelligente. Ho un elemento di
imbarazzo nell'intervenire durante questa prima occasione di confronto con il Governo, che voglio immediatamente rendere esplicito: infatti
la scorsa settimana, durante la prima parte dell'audizione, il ministro ha precisato che non intendeva presentare un programma dettagliato
di interventi, perché ancora sottoposto allo studio. Mi si permetta di notare, riguardo all'impianto della relazione, l'assenza di un progetto
complessivo, seppur solo abbozzato. È curioso il fatto che questa prima discussione in Commissione si svolga in libertà, senza un
progetto complessivo, anche solo accennato. Credo che i temi che si dovranno affrontare in questa legislatura siano collegati all'idea
dell'insieme delle competenze del nuovo Ministero dei beni e delle attività culturali. Vorrei dire (traggo questa riflessione dalla lettura dei
giornali e non dalla relazione del ministro), che riportare l'attività di indirizzo politico delle politiche culturali, alla caccia del problema
singolo, puntuale e parziale - come sembra perseguire il suo sottosegretario, onorevole ministro - equivale a far compiere al ministero in
senso inverso il cammino di crescita percorso in questi anni, di cui rivendichiamo il merito.
La prima domanda che rivolgo al ministro riguarda il fatto che credo sarebbe utile fissare, fin da oggi, una scadenza una volta soddisfatte
quelle esigenze di studio che lei, signor ministro, ha rappresentato, al termine della quale calendarizzare una sua nuova audizione, così
da consentire alla Commissione di conoscere con chiarezza l'agenda, le priorità e le linee della politica culturale del nuovo Governo.
Devo anche dire che, nell'elencare le aree di competenza, il ministro ha dimenticato di citare - non so se casualmente - le nuove attribuzioni del ministero: ciò mi ha particolarmente colpito, perché non sono state nominate le competenze nel settore dell'arte e dell'architettura contemporanea, la promozione della lettura (non le biblioteche, ma la nuova competenza della promozione della lettura), la disciplina del diritto d'autore, come ha spiegato molto bene l'onorevole Giulietti.
Forse è necessaria una riflessione preliminare; traggo qualche spunto e qualche preoccupazione dall'intervento dell'onorevole Bianchi
Clerici: siamo di fronte ad un passaggio delicato, collegato al progetto di devoluzione, di trasferimento alle regioni di competenze in molte
materie, che ora afferiscono allo Stato. Non vorrei che quella esigenza di studio, che il ministro ha sottolineato come necessaria, preluda
ad un'idea, presente nella maggioranza e nel Governo, di devoluzione delle competenze del Ministero dei beni e delle attività culturali.
Voglio dirlo sinceramente e spero di essere smentita o contraddetta, ma l'assenza di linee programmatiche mi fa ritenere che questo sia
un rischio molto serio. Devo anche dire che mi colpisce il silenzio sul tema del partenariato con le regioni: nella scorsa legislatura è stata
scelta una linea di salda difesa della dimensione nazionale delle politiche culturali e, nello stesso tempo, di forte accelerazione di tutte le
forme di partenariato, partecipazione, cofinanziamento tra Stato e regioni, dei principali progetti inerenti al patrimonio culturale italiano.
Personalmente, ho ratificato, in meno di tre anni sei accordi quadro di programma con regioni governate da amministrazioni di diverso
orientamento politico: questa ci è sembrata la soluzione adatta ad un paese che non rinuncia all'identità culturale intesa come identità
nazionale e che, allo stesso tempo, spinge l'acceleratore nella direzione del partenariato con le regioni. Ho appena sentito dire, invece,
che questo settore deve essere oggetto dei processi di devoluzione. A nome del mio gruppo, preannuncio che ci opporremo fortemente
ad ipotesi di questo genere.
Il ministro ha inoltre denunciato l'impossibilità di presentare le cifre relative al turismo culturale: vorrei rammentargli, in modo sommesso,
che il ministero dispone di strumenti per rilevare tale dato nei musei statali e che sono disponibili quelli relativi al 2000 ed ai primi mesi
del 2001. Credo sia necessario partire da questi dati, anche per pronunciare parole più precise riguardo ai programmi dell'attuale Governo
sui circa 220 cantieri aperti, finanziati con i fondi del Lotto (piano triennale Lotto 2000-2002), che sono i veri, grandi cantieri della cultura
italiana e che la furia iconoclasta del suo sottosegretario, signor ministro, tende a dimenticare: questa Commissione è autorizzata a
chiederle che cosa farete dei grandi Uffizi, della nuova Brera, del raddoppio della galleria dell'Accademia a Venezia, di Venaria, della
Reggia di Caserta, dei nuovi progetti per l'arte contemporanea....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Credo che le rispondano i giornali di questi ultimi due giorni ...

GIOVANNA MELANDRI. No, non sono risposte puntuali, perché esiste un indirizzo: i circa mille miliardi, provenienti dal gioco del Lotto,
che sono stati investiti per i grandi progetti del cantiere della cultura italiana, devono trovare un sostegno. Prendo atto che lei considera
suo obiettivo il mantenimento, anzi l'accrescimento di un flusso costante di risorse destinate al patrimonio storico artistico.
A fronte di questa dichiarazione di principio, mi sembra si riscontri una totale assenza di indicazioni concrete: stiamo fortunatamente
svolgendo la nostra discussione in coincidenza con la presentazione del documento di programmazione economico-finanziaria, dalla cui
visione informale (ma nelle prossime ore avremo modo di approfondirne i dettagli), mi risulta che esso - divenuto uno degli atti nei quali
vengono indicate le priorità di azione anche in tale settore - per la prima volta, dopo cinque anni, non contenga una parola sulle politiche
culturali.
Quest'anno, dunque, «buio pesto».
Esprimo ancora il mio imbarazzo perché, a fronte di un'assenza di individuazione di linee programmatiche, il documento di programmazione economica e finanziaria «parla», e lo fa con «assordante» silenzio: non so se dovremo aspettarci un analogo silenzio durante l'esame della legge finanziaria.
Lei, signor ministro, fa bene ad identificare come il «cuore» dell'azione del suo dicastero l'attività di tutela; concordo profondamente -
vorrei dire perfino culturalmente - con lei quando esprime il timore che la tutela possa diventare il trionfo della soggettività, una
preoccupazione che, però, forse deve diventare oggetto di dibattito da avviare nelle stanze di quella amministrazione. Non posso che
essere d'accordo con lei se si riferisce alla soggettività, soprattutto, degli organi politici preposti alla tutela, e che invece, a mio avviso,
dovrebbero fornire le linee di indirizzo limitandosi a questo perché il Minculpop è presente anche nei beni culturali, allorché si esercita la
funzione di governo, dove è il «principe» che definisce i confini dell'estetica.
Credo che gli organi politici debbano fornire le linee di indirizzo e non certo compiere scelte puntuali; invece le scelte tecniche puntuali -
questo è stato un faro della precedente amministrazione di cui rivendico con forza la scelta - vanno affidate alla responsabilità ed alla
competenza dei tecnici. È evidente che vi sono margini di errore quando esiste la discrezionalità, ed in particolar modo in materia
artistica, e quando è in gioco la dimensione estetica degli oggetti di tutela, ma deve essere chiaro che forza, autorevolezza ed affidabilità
di questo ministero sono legate a «filo doppio» all'autonomia decisionale sui casi puntuali degli organismi tecnici rispetto all'istanza
politica. Lei è stato allievo, e credo anche amico, del ministro Spadolini.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Sì!

GIOVANNA MELANDRI. Ebbene, tale autonomia è un faro della cultura democratica e liberale del nostro paese: mi auguro che questa
legislatura non ci veda tornare indietro. Ho dunque apprezzato le sue parole sull'importanza della tutela, ma è un principio che non basta
pronunciare, bisogna concretamente attuarla e verificarla. Discuteremo poi sugli indirizzi, in base alla sua relazione, ma il Governo
Berlusconi ha già presentato un atto che «parla» abbastanza chiaramente: nelle pieghe dei regolamenti di deregulation nel campo delle
opere pubbliche emanati dal suo Governo e che hanno iniziato il loro iter in Commissione al Senato si nascondono dei fortissimi pericoli
per la tutela del patrimonio storico ed artistico che, a mio giudizio, il ministro Urbani sottovaluta o, forse, ignora. Mi riferisco all'atto
Senato n. 374, presentato dai ministri Lunardi e Matteoli, che si ispira allo slogan «padroni in casa propria» (i cittadini italiani padroni di
casa propria). Nella relazione che accompagna il testo, che prevede la realizzazione di opere pubbliche e la liberalizzazione delle
ristrutturazioni interne degli edifici, si fa menzione di una considerazione particolare per gli immobili vincolati: questo è contenuto nella
relazione! Il riferimento, peraltro riportato in termini generici e fumosi, è ad un'autorizzazione concessa dall'organo preposto
istituzionalmente alla tutela del vincolo, senza specificare le modalità e le condizioni per la concessione o il diniego di tale
autorizzazione. Considerando che stiamo parlando di palazzi storici vincolati e di grande pregio, questa leggerezza mi pare, già di per sé,
colpevole, ma soprattutto, ed è questa la cosa più grave che voglio segnalare, nell'articolato del provvedimento, precisamente nell'articolo
2, nel quale non si fa alcuna menzione della necessità di una disciplina specifica - lo sottolineo - per gli immobili vincolati! Questo porta
ad alcune considerazioni: l'assenza di ogni indicazione nel testo e la presenza di generiche previsioni nella relazione può ingenerare solo
confusione al momento della applicazione della norma.
Credo che la Commissione debba sapere qual è la sua posizione, signor ministro, nei confronti del piano di infrastrutture ed opere
annunciato dal ministro Lunardi. Le chiedo ancora se proseguirà la stagione delle pressioni da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e dei suoi dirigenti, per l'abbattimento degli «ecomostri» nel nostro paese. Sarà in grado il ministero di imporre con forza alle amministrazioni la necessità di non ripercorrere la logica del condono
che ha devastato le nostre coste ed il nostro paesaggio? Apprezzo, signor ministro, la sua moderazione, ma su questi problemi vorrei
sentire alta e forte la sua voce.
Il «buio» ed il silenzio «assordante» del documento di programmazione economica e finanziaria sono - ripeto - preoccupanti. Ricordo che
nel corso degli ultimi cinque anni il bilancio e le voci di finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali sono cresciuti
costantemente e ciò ha permesso, ad esempio, il rilancio di una attività di recupero che vede, in questo momento, in funzione centinaia di
cantieri in tutta Italia e vorrei sapere come verrà garantito il prosieguo di tali attività.
A proposito di un'altra iniziativa del Governo Berlusconi, trovo che vi sia una palese contraddizione tra ciò che lei, signor ministro, ha
affermato in questa sede la scorsa settimana - in merito al raccordo sempre più forte tra beni culturali e scuola - e la decisione
governativa di sospendere l'entrata in vigore della riforma dei cicli - visto che la Commissione è competente anche in materia di riforma
della scuola -, che andava esattamente in quella direzione. Come lei sa, in quella riforma era previsto finalmente l'inserimento di alcune
discipline e insegnamenti, dalla musica all'arte, anche nella scuola di base, molto importanti per far crescere e sviluppare, «dal basso»
una formazione alla cultura, all'estetica, eccetera.
Mi auguro che la tensione creativa e la folgorante ispirazione artistica che sembra essersi impossessata delle più alte cariche del
ministero, ceda ben presto il posto ad una seria attività di ricognizione dell'esistente, di proposta di ulteriori strumenti per conservare e
rafforzare il rango che compete alle politiche culturali. Tra l'altro lei, signor ministro, ha tralasciato di menzionare che non abbiamo avviato
solo alcuni canali di finanziamento straordinario come il Lotto, ma abbiamo favorito anche l'ingresso stesso nel CIPE di questo ministero
e l'individuazione in Agenda 2000 di un asse culturale, che oggi può contare su 5 mila miliardi per le regioni a obiettivo 1, risorse che
hanno veramente modificato ed elevato il rango di questa amministrazione. Tra l'altro, ricordi che Agenda 2000 nel sud è un treno che non
passa due volte, per cui occorre impegnare la capacità di programmazione e di coprogrammazione del ministero con le regioni, come
abbiamo già fatto con alcuni accordi quadro di programma con la Basilicata e la Campania.
Mi sono permessa di ricordarle questi aspetti perché davvero sarebbe importante per il nostro paese proseguire, per quanto possibile, con
uno spirito bipartisan nella direzione di elevare il rango delle politiche culturali e di rafforzare l'identità culturale del nostro paese.
Ho letto nella sua relazione - un passaggio non posso tralasciarlo - che mi riguarda direttamente e dalla cui lettura derivo che lei, in
maniera apparentemente alternativa a come mi sarei comportata io, ha dichiarato che non si dedicherà a tagliare nastri in occasione di
alcune manifestazioni: me ne compiaccio e glielo auguro davvero. Voglio però farle presente che vi sono tagli di nastri poco utili ed
effimeri, destinati a concludersi senza lasciare alcuna traccia: in questo caso lei farà bene a non andare tagliarli. Vi sono poi nastri che
vengono tagliati a conclusione di uno sforzo e di un'attività portati a termine con passione, coraggio e tenacia da migliaia di tecnici,
sovrintendenti e restauratori, che quella amministrazione vede all'opera quotidianamente; in questi anni siamo stati al loro fianco,
affrontando difficoltà e intoppi, dandoci scadenze e cronoprogrammi molto rigorosi; insieme a loro, con grande gioia e soddisfazione,
abbiamo festeggiato la fine di lavori importanti per tutto il paese. Ricordo Milano con la conclusione del restauro del Cenacolo vinciano,
Assisi, Firenze, Roma, ma non solo, anche a Montefalco quando abbiamo concluso le opere di restauro del ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli, Paestum, Palestrina, Arezzo e Benevento con la straordinaria restaurazione dell'arco di Traiano. In tutti questi luoghi dove abbiamo lavorato per restituire il nostro straordinario patrimonio artistico agli italiani i nastri li ho tagliati!
Le auguro, onorevole Urbani, di lavorare con la stessa tenacia per poter tagliare anche lei qualche nastro; ciò significherebbe che in
questa legislatura qualche cantiere, oltre ad essere aperto, sarà anche chiuso.

ENZO CARRA. Signor presidente, signor ministro, le considerazioni e le riflessioni dei colleghi, gli onorevoli Melandri, Giulietti e Colasio,
mi lasciano uno spazio d'intervento, tutto sommato ridotto, per alcune ulteriori considerazioni. Parto da una definizione che ho sentito
pronunciare, all'inizio dei nostri lavori, a proposito dell'andazzo della cultura. Credo che la Commissione dovrà badare a tale andazzo,
cercando di fare ragionamenti seri, piuttosto che produrre altro materiale per un saggio sul riso: capisco, per esempio, che vi è grande
attesa nel mondo dello spettacolo; non so se sia una attesa relativa ai palinsesti di Mediaset.
Signor ministro, ho ascoltato il suo intervento pacato e riflessivo, per la verità, rivolto soprattutto all'interno del suo stesso ministero. Un
effervescente sottosegretario ha detto che lei è un uomo mite, delicato, gentile e che assomiglia a suo padre. Lei stesso, signor ministro,
si è definito un problem solver, un uomo che risolve i problemi. Lei così si è autoassegnato un ruolo da mister Wolf nel film Pulp fiction di
Quentin Tarantino, e può darsi che questa sia la situazione nella quale nei prossimi mesi....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Non ho visto il film, quindi non capisco a chi si sta riferendo.

ENZO CARRA. Le conviene vederlo; comunque mister Wolf è quell'uomo leggiadro con un impeccabile smoking, che arriva a risolvere il
problema delle chiazze di sangue che impestano i muri, conseguenza degli omicidi di questo «allegro mattatoio» di Quentin Tarantino:
spero che questa non sia la situazione nella quale vi verrete a trovare.
Anzi, vorrei che l'analogia - assolutamente ironica, come può immaginare - finisca qui. Lei ha affermato di aver risolto il problema delle
deleghe con progetti-obiettivo: benissimo, spero che questi obiettivi non li debba leggere sui giornali. Lei ha parlato, succintamente, del
duomo di Pisa, di Siracusa, di allestitori (tedeschi piuttosto che italiani) e penso che anche questa potrà essere un'ottima occasione di
business. Ha parlato di finanziamento dei beni culturali in particolare con i proventi del Lotto (lo ricordava Giovanna Melandri poco fa),
salvo poi domandarsi se il Lotto possa andare fuori moda. Ci sarà comunque il Bingo, le corse dei cavalli ....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È quello che temo.

ENZO CARRA. Pensateci subito, signor ministro, potrà esserci anche quello, in fondo se abbiamo accettato....

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Non ho visto quel film, però lei non ne ha visti altri! Il suo è un brutto film e
non l'ho visto.

ENZO CARRA. Non è un brutto film, signor ministro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È un brutto film! Vi sono film molto più...

ENZO CARRA. Non è un brutto film. Questo, signor ministro, detto da...

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Risparmi le volgarità.

ENZO CARRA. Non è una volgarità.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Le volgarità che usa le risparmi!

ENZO CARRA. Non è una volgarità, quello è un bellissimo film!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Lei è un uomo volgare!

ENZO CARRA. No, mi scusi, questo non glielo consento... È un bellissimo film!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Sta usando delle volgarità!

PRESIDENTE. Vi pregherei ...

ENZO CARRA. Presidente, non so quale sia la volgarità alla quale si riferisce il ministro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Si vergogni!

ENZO CARRA. Questa valutazione la tenga per sé. Lei non ha rivolto critiche ai suoi predecessori e di questo prendo atto.

PRESIDENTE. Onorevole Carra, la prego. I biglietti da visita ve li siete scambiati, come diceva Manzoni. Prosegua il suo intervento.

ENZO CARRA. Non ho mai interrotto il mio intervento.
Lei, signor ministro, non ha rivolto critiche ai suoi predecessori - ha fatto bene - e di questo ho preso atto con molto piacere. Oggi però ha
una responsabilità in più rispetto a quelle dei suoi predecessori ed è quanto voglio dirle se non lo considera volgare. Non si tratta di
discutere - come pure lei ha fatto nel suo intervento introduttivo - di cultura di destra o di sinistra, di film di destra e di sinistra. Oggi con il
Governo di cui lei fa parte ci troviamo in una situazione del tutto speciale rispetto a queste distinzioni classiche e piuttosto superate: ci
troviamo in presenza di un produttore, organizzatore, megaeditore, che manda in onda il paese e non vorrei ascoltare appelli alla libertà
della cultura da parte di chi ha la proprietà dei mezzi attraverso i quali la cultura si esprime e si diffonde nella realtà. Perciò avete - ripeto -
una particolare responsabilità in più rispetto ai vostri predecessori.
Lei ha detto che non interpreterà il suo ministero come un Minculpop: sono sicuro che farà così e le credo; forse qualcun altro ha questa
tentazione, ma immagino che tutti noi saremo in grado di fargliela passare. Anzi, conoscendo la sua sensibilità, le affidiamo soprattutto il
ruolo, che non è volgare perché mister Wolf era tutt'altro, di rappresentare le nostre preoccupazioni, anche in seno al Consiglio dei
ministri. Lei deve interpretare al meglio questo ruolo di moderatore. Giovanna Melandri ha ricordato l'onorevole Spadolini, il quale (anch'io
ho avuto modo di conoscerlo) era sanamente intemperante ogni volta che aveva davanti disegni liberticidi come lei lo sa benissimo. Ora
non dobbiamo parlare di ciò perché non è questa la sede e non abbiamo alla nostra attenzione neanche disegni del genere; però mi
consentirà di dirle che per un Governo favorevole alla cultura e alla libertà di pensiero - ossia che è per la libertà di pensiero e di
espressione - ciò può essere addirittura una minaccia se non ben guidato, anche per persone come lei. Si ha bisogno di avere, al di là di
queste minacce, assicurazioni che tranquillizzino e garantiscano. Perciò le chiediamo di corrispondere a tale ruolo che credo sia tutt'altro
che volgare sia come preoccupazione sia come raccomandazione. Di questo le chiederemo conto tutte le volte che verrà qui a riferire.

PAOLO SANTULLI. La ringrazio, signor ministro, per la chiarezza della sua relazione, soprattutto perché ci dà la possibilità di poter
fornire qualche contributo. Reputo necessario svolgere un brevissimo intervento (lei ha suddiviso i nostri compiti in quattro «famiglie»),
dato che mi soffermerò su una famiglia che finora nessuno ha trattato, la più povera, quella della tutela dello sport, che pure rientra tra le competenze di questa Commissione. Lo ritengo un argomento di grande importanza e credo necessario fare qualche passaggio importante in questa Commissione. Abbiamo la
possibilità, investendo sia il ministro dei beni e delle attività culturali, sia il ministro dell'istruzione, di redimere sinergicamente degli
interventi in relazione a questo argomento.
Ritengo che la vigilanza sullo sport possa partire da una cultura sportiva che deve realizzarsi nella scuola, signor ministro, dove in questo
settore si investe purtroppo molto poco. Negli anni scorsi sono stati presentati progetti interessanti, sono stati avviati, ma poi sono stati
abbandonati; oggi vi è la possibilità - e a questo proposito le preannunzio che presenteremo un ordine del giorno - di riprenderli e
migliorarli, come vi è la necessità di riprendere e migliorare tutti i protocolli d'intesa intercorsi tra il Ministero della pubblica istruzione,
quello dei beni culturali e i vari enti in relazione ad interventi sinergici tra scuola e sport. Pertanto, spero che il ministro si ricorderà di ciò
(per quanto attiene alla sua possibilità di intervento), quando bisognerà chiedere al Governo di adottare provvedimenti economici a favore
dello sport, soprattutto per quello scolastico: il fenomeno del doping e la violenza negli stadi si combattono con un'educazione allo sport,
di cui la scuola è responsabile.
Ringrazio il ministro e preannuncio, come ho detto, la presentazione di un ordine del giorno puntuale su questo argomento.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al ministro Urbani per consentirgli di svolgere la replica, vorrei esprimere due brevissime
considerazioni di carattere personale.
Ringrazio il ministro per la sua relazione e gli onorevoli colleghi per i loro interventi. Nel momento in cui sono stato eletto presidente mi è
stato riferito che, accanto ad ovvi ed importanti scontri politici, che la nostra è una delle Commissioni maggiormente improntata allo
spirito bipartisan, come possono testimoniare i colleghi che ne facevano parte. L'onorevole Volpini mi ha descritto episodi significativi che
testimoniano (fermo restando le diversità ed i conflitti che sono il «sale» della politica), un rapporto di collaborazione nell'individuare i
problemi e le soluzioni legislative, nello spirito del problem solver. Mi auguro che la continuità con tale impostazione venga assunta, in
questa legislatura, come un dato positivo: qualche scontro alla Pulp fiction è ben accetto, basta non cambiare film passando a Natural
born killers, caratterizzando il lavoro parlamentare con complesse operazioni di tipo polemico - elettorale e conflittuale: mi rivolgo ai
colleghi di tutti gli schieramenti.

ENZO CARRA. Non c'è dubbio.

PRESIDENTE. Vorrei riprendere una considerazione che ho svolto in apertura della seduta: tutte le parti politiche, prima delle elezioni e
durante la campagna elettorale, hanno sostenuto che esiste un primato culturale italiano da ricostruire, al quale ridare finalmente nuova
efficienza; qualcosa sicuramente è stato fatto in questo senso. Il primato culturale italiano, che storicamente si è espresso nelle arti ed in
tutte le discipline del pensiero umano, è dunque il nostro obiettivo (nessuno, qui presente, lo contraddice): si tratterà di capire quali sono
le forme più adeguate - su cui ci potrà essere conflitto - per raggiungere questo scopo comune. In proposito, abbandonando per un
momento il ruolo di presidente, vorrei approfittare della presenza del ministro per porre un quesito, non di carattere istituzionale e neanche
pienamente dentro la logica politica di chi deve governare un ministero. Poiché ci si è più volte riferiti al Minculpop ed al rapporto tra
cultura e politica (il diverbio garbato tra l'onorevole Rositani e l'onorevole Giulietti alludeva anche a tale questione), vorrei segnalarvi un
problema storico, la cui soluzione non è semplice.
Nessuno vuole imporre linee politiche all'estetica, agli intellettuali oppure esprimere concezioni del rapporto tra cultura e politica di stampo totalitarista. È anche vero però - il ministro Urbani lo ricordava - che esiste una contraddizione nella storia dell'umanità per cui le creazioni più importanti degli intellettuali sono quasi sempre avvenute quando un potere ha deciso di assumere con forza l'obiettivo dello sviluppo della creatività del paese. Ciò è accaduto, con la cupidigia del potere o con il
servilismo degli intellettuali, sotto diversi regimi: quando la Chiesa esercitava un potere temporale, nel rinascimento, ha prodotto guasti
dal punto di vista politico, ma enormi capolavori dal punto di vista culturale; è avvenuto in regimi, democraticamente e storicamente
rilevanti, come quello di Roosevelt: se egli non avesse avuto particolari rapporti con Frank Capra e l'idea di orientare la cinematografia
hollywoodiana secondo alcuni criteri, probabilmente in quel paese non si sarebbe sviluppata la cinematografia nel modo in cui oggi la
conosciamo. Ovviamente, è necessario citare le culture totalitarie (il fascismo scelse una linea architettonica, che può piacere o meno) e
regimi che hanno un'idea forte dello Stato: Mitterrand è riuscito a costruire il Beaubourg; probabilmente, in Italia non è nemmeno
concepibile l'idea di concedere ad un artista come Renzo Piano la libertà di costruire, al centro di Roma, una struttura analoga al
Beaubourg.
La questione del rapporto tra cultura e politica e del ruolo che il potere deve avere nello stimolare e nel promuovere la creatività di un
paese, non è semplice da risolvere: questo è l'unico dubbio che avanzo, senza intervenire nel dibattito, approfittando della presenza di un
intellettuale come il ministro dei beni culturali per segnalare la questione di difficile soluzione del rapporto tra cultura e politica. Da un
punto di vista liberale può essere considerata positiva la critica, rivolta al ministro, di non avere un progetto.
Do la parola al ministro Urbani, che risponderà alle nostre domande.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Considero infatti un pregio la mancanza di progetto, se per questo si
intende l'assenza di una direttiva centralistica e statalistica.
Provo un profondo imbarazzo ad intervenire per una ragione procedurale ed organizzativa: era infatti mia intenzione rispondere
puntualmente a tutte le questioni sollevate e poi svolgere alcune considerazioni conclusive. Mi scuso, perché non potrò procedere in
questo modo: dovrei impiegare un tempo, che non è a nostra disposizione, più o meno equivalente a quello dei vostri interventi. Mi
soffermerò su considerazioni di carattere generale che dovrebbero avere, a parte la battuta iniziale, il pregio di fornire indicazioni sulla
«bussola» del Governo (uso un'espressione che avevo già adoperato), sui grandi criteri ispiratori di ciò che intendiamo fare, lasciando ad
altri momenti le risposte puntuali.
Ringrazio il collega Colasio perché ha messo a disposizione un testo scritto, che è più fedele di qualsiasi trascrizione e che faciliterà il
mio compito. Nel futuro, non potremo che trovare le modalità di risposta nella scelta del metodo di lavoro individuato dalla Commissione:
per quanto mi riguarda sono, ovviamente, disponibile. Dagli interventi che ho ascoltato, ho compreso che posso apprendere molto e che
possiamo approntare scelte più equilibrate e meditate proprio grazie a considerazioni critiche, positive e negative, che mi sono state
rivolte. Mi scuso pertanto con il presidente ed i commissari se svolgerò una replica concentrata su poche questioni.
Il normale metodo di lavoro della Commissione dovrebbe essere improntato ad uno spirito bipartisan, perché si occupa del settore dei
beni culturali (e di altri di sua competenza) che costituiscono ciò che, classicamente, gli economisti chiamano i beni pubblici. Potremmo
riscontrare molti dissensi (come è ovvio, giusto e utile), sulle modalità di produzione ma, siamo tutti d'accordo sul fatto che è nostro
dovere perseguire soluzioni in un settore di interesse generale.
Il sistema elettorale prevalente è maggioritario e uninominale e quindi siamo tutti interessati, comprensibilmente, a qualche territorio: da quando ho l'onore di ricoprire l'incarico di ministro, ho ricevuto le telefonate di moltissimi colleghi (non di tutti, sarebbero troppi), tanto che se continuerà in questo modo, prima della fine dell'anno, dovrò ascoltarli almeno due volte....

GIOVANNA MELANDRI. Sicuro, ministro, sicuro.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. È un fatto estremamente positivo ed ho notato, onorevole Melandri, che la
collaborazione con i rappresentanti dell'opposizione avviene in maniera naturale e senza grandi problemi: ad esempio, ieri mi trovavo a
Pisa, su sollecitazione dei nostri parlamentari (non deputati locali, perché in quei collegi uninominali la Casa delle libertà non ha propri
candidati eletti) che abitano nella zona e dell'onorevole Berlinguer, che aveva particolarmente sollecitato la presenza del Governo a Pisa.
Nei fatti quotidiani ciò è inevitabile: se troveremo indicazioni di modalità specifiche d'intervento riguardo a questo aspetto, le seguirò ben
volentieri.
Ringraziando ancora una volta tutti i deputati per le sollecitazioni venute dai loro interventi, vorrei affrontare la questione centrale che i
colleghi dell'opposizione hanno espresso con la formula della delusione, mentre quelli della maggioranza hanno apprezzato l'umiltà e la
«fattività» della relazione, per spiegare le ragioni della mia scelta, che considero obbligate. L'onorevole Melandri avrà la pazienza di
ascoltare l'esposizione di un quadro non roseo della situazione che ha reso obbligate alcune decisioni. Sono stato felice di prendere atto
degli importanti progressi compiuti nel corso dell'ultima legislatura per effetto dell'iniziativa dell'ex maggioranza di governo, limitandomi ad
argomenti di carattere generale: la questione del finanziamento, del Lotto, l'apertura ed i nuovi orari dei musei, i cantieri cui si è riferita
l'onorevole Melandri. Mi limito a citare i temi essenziali, ma credo che sia doveroso riconoscere lo sforzo compiuto. La campagna
elettorale si è svolta in maniera un po' barbarica, ma qualunque sforzo di costruzione per il futuro deve partire dal riconoscimento di ciò
che di buono è stato fatto. Barerei con me stesso, con chi mi ha votato, con la maggioranza parlamentare che appoggia questo Governo
e con l'opposizione se non dicessi la verità. Ho un vizio: mi piace l'understatement, forse perché sono moderato (limitatamente, come
avrete capito). Poiché sono liberale, so che posso sbagliare ed usando l'understatement, la possibilità di recupero è più facile; se usassi
il bangstatement probabilmente la correzione sarebbe più difficile: si tratta di una questione di forma mentis. Chi è in dissenso deve
apprezzare questa caratteristica e ringraziarmi, perché potrei impiegare toni foschi, che sarebbero sbagliati, ma che, a volte, sono meno
lontani dalla verità rispetto all'understatement, che serve ad attutire le situazioni.
Se ho torto l'opposizione me lo farà capire, conducendo battaglie e avanzando punti di vista diversi, ma vorrei esprimere il mio pensiero
con grande franchezza: credo che i beni culturali navighino in un mare caratterizzato da profondi e gravi problemi strutturali. Nel nostro
paese, inoltre, siamo privi in questo momento di una autentica ed adeguata «bussola» di Governo dei beni culturali, di una stella polare.
Non attribuisco la colpa al governo precedente: esso è stato votato dal Parlamento, che dunque ha la propria parte di responsabilità
(anche le ex opposizioni). Se non fissiamo la stella polare, continueremo a navigare a vista (è irrilevante, da questo punto di vista il
problema del finanziamento).
Entrerò ora nel merito dei problemi strutturali, esaminando subito il caso più difficile. Il bilancio dei beni culturali è aumentato,
raddoppiando in pochi anni: ciò è sicuramente un fatto positivo, avvenuto perché è stata trovata una nuova fonte, che però non ha
carattere di stabilità. Sono preoccupato perché - non so se vi avete prestato attenzione, certo l'onorevole Melandri che ha letto con tanta
attenzione i primi documenti del Governo lo avrà notato - nel provvedimento che riguarda i primi 100 giorni è contenuto un provvedimento in base al quale il Governo ha chiesto la delega...

GIOVANNA MELANDRI. Scusi l'interruzione, signor ministro, ma il Lotto non è compreso nel bilancio.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Naturalmente non sto parlando del bilancio in senso ristretto, ma di quello
consolidato.

GIOVANNA MELANDRI. Il bilancio è raddoppiato ed a ciò si devono aggiungere i proventi del Lotto.

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Ho usato il termine bilancio per indicare la disponibilità complessiva delle
risorse relative a tale settore.

GIOVANNA MELANDRI. Allora è molto più che raddoppiato!

GIULIANO URBANI, Ministro dei beni e delle attività culturali. Purtroppo ciò non indebolisce, ma rafforza la mia affermazione. Saprete che
il Governo ha chiesto la delega al Parlamento per riordinare l'intero settore, istituendo una agenzia dei giochi. Ciò serve a creare una
forma di compensazione tra i giochi che possono, ovviamente, avere gradi di fortuna diversi l'uno dall'altro, variando nel tempo. In questo
modo si modificano anche le entrate dei vari settori pubblici a cui sono destinati i proventi dei giochi. Abbiamo l'esperienza della SISAL,
del Totocalcio, del Lotto: potremmo ripeterla con l'avvento, se avrà successo, del Bingo. Non sarà sfuggito a nessuno che una delle
grandi fonti, in prospettiva, delle televisioni è proprio legata allo sviluppo dei giochi. Capisco l'alea, ma non condivido che si costruiscano
le fondamenta di un settore così importante e rilevante sulla casualità.
La riforma Bassanini in materia di beni culturali ha creato - oserei dire coscientemente e volutamente, perché è nelle norme - un grande
cantiere: i più critici dicono che è stata una riforma mancata, che non si è misurata con le questioni portanti, e sottolineo portanti, del
ministero e del settore (debbo dire che mi sento molto più vicino a questi critici). I più «buoni» hanno semplicemente parlato di «grande
cantiere», è cioè di un sistema pieno di meccanismi sperimentali. Riporto alcuni esempi, che avete ricordato anche voi, parlando di
devoluzione: la dimensione regionale dell'amministrazione, la creazione dei sovrintendenti regionali, il rapporto con le regioni, ambiti che
rappresentano una grande area «nebulosa». La norma stessa stabilisce il limite di un anno per mettere a punto la figura dei sovrintendenti
regionali; questa è purtroppo un esperienza che l'onorevole Melandri non ha potuto compiere, visto che i sovrintendenti regionali sono
entrati in funzione nel momento del passaggio di consegne fra il Governo attuale ed il precedente e, guarda caso, questa «patata
bollente» la trovo adesso sul mio tavolo.
Non entro nei particolari, anche se sarebbero interessantissimi, ma, visto che il presidente Adornato ha fatto riferimento alle mie
competenze tecniche del passato, posso assicurarvi che qualunque cultore di teoria dell'amministrazione esce con i brividi alla schiena.
Faccio un solo esempio indicativo di quello che intendo con questo termine: i sovrintendenti regionali sono oggi - a normativa vigente -
svincolati dal rapporto gerarchico e funzionale con i direttori generali del ministero. Come sapete, i direttori generali sono tali in funzione di
competenze e scelti in base ai loro curricula, per cui chi ha competenze in archivistica è pari grado, ma non ha uguali competenze nei
monumenti piuttosto che nell'architettura. Oggi siamo di fronte ad un meccanismo per il quale il sovrintendente regionale può non avere
una conoscenza specifica del settore sul quale deve pronunciarsi, ma può farlo svincolato dal direttore generale che, invece, ha le
necessarie competenze settoriali. Allora voi capite che l'aspetto della tutela dal punto di vista gerarchico è in grande sofferenza.
Ho parlato di riforma mancata perché essa stessa ha creato problemi. A proposito dei rapporti tra Stato e regioni ci troviamo su un
terreno «magmatico», sul quale sarà difficilissimo muoversi ma dovremo farlo per risolvere i problemi. Utilizzo il plurale sia per la parte che
compete al Governo, sia perché il completamento - io dico la razionalizzazione - della riforma in questa materia arriverà sul tavolo del
Parlamento, anche perché tutti diamo grande importanza (con accenti diversi) alla questione dell'equilibrio fra competenze centrali e
regionali.
Le mie valutazioni raggiungono vette francamente deprimenti proprio sull'aspetto della tutela; siamo tutti d'accordo che in materia di beni
culturali, in particolare nel settore dei beni artistici latu sensu (lasciando quindi da parte per il momento sport e spettacolo), la tutela è
l'abc di tutto, ma il problema è costituito dalle condizioni in cui si trova. Essa è quotidianamente sballottata fra due «tornadi»: il primo è
quello di una Babele. Non sarà sfuggito a nessuno il fatto che la tutela è esercitata in maniera diversa a seconda che si tratti di una
provincia o di un'altra, a seconda che ci sia o meno un trasferimento. Ricordo il caso di Pisa (onore alla precedente amministrazione che
ha impostato un progetto con basi ben solide), dove abbiamo inaugurato un sito archeologico: da questo giacimento romano risalente
all'epoca imperiale è stata estratta la prima nave, uno spettacolo bellissimo ed emozionante. È stato rinvenuto un giacimento
numericamente equivalente nei pressi di Olbia ed un terzo giacimento, del quale non posso rivelare l'ubicazione, su raccomandazione del
generale Conforti, per timore di possibili trafugamenti.
Ebbene, possiamo correre il rischio che la tutela venga esercitata in maniera differente tra Pisa, Olbia e altre parti? Sarebbe una follia
pura!
La tutela corre il rischio dell'assenza di regole e criteri; non c'entra niente il Minculpop che avevo citato perché evocato da tutti i critici
della «Bassanini», non da me. Una delle critiche rivolte a questa riforma è che si stavano creando le premesse per un rischio di
Minculpop e per citare le fonti bibliografiche ricordo che un libro edito da il Mulino sulla riforma del Governo ha riportato quello che riporta
più ampiamente questa preoccupazione.
Riprendendo il discorso della tutela, il primo rischio che corre è quello - ripeto - di una Babele: tutti i discorsi sulla valorizzazione e sulla
promozione vengono meno immediatamente se non azzeriamo il rischio di una Babele.
L'altro rischio (o tornado) che corre la tutela è quello della «logica dell'incompetenza». È stato creato un meccanismo che rischia di
favorire i giudizi di incompetenza come valutazioni sulla congruità o meno di alcuni vincoli di tutela! Ai sovrintendenti regionali, rispetto a
quelli provinciali o più che provinciali (per aggregazioni), competono poteri che potremmo definire di secondo grado. Accade allora che chi
proviene da un settore specialistico, ed ha scarsa competenza in una determinata materia, è comunque svincolato dal direttore generale,
con la conseguenza di correre rischi enormi. Si raggiunge una situazione incredibilmente ridicola là dove alcuni poteri - per così dire -
sono attribuiti addirittura al ministro, il quale quasi sempre è il più incompetente di tutti, perché è un organo politico, con una
legittimazione politica, chiamato a svolgere funzioni politiche. In questo caso però ha anche competenze di terza istanza nel
pronunciamento di giudizi in materia di tutela. Allora anch'io dico, evocando le parole di un precedente Presidente della Repubblica, non
ci sto! Questo meccanismo va cambiato in fretta e per farlo dobbiamo evitare i due rischi cui ho accennato, ma dobbiamo anche
compiere, strategicamente e strutturalmente, una rivoluzione che è quella di far diventare i «custodi» della tutela due sistemi: il primo è
una «quasi magistratura», perché i soggetti interessati vanno sottratti alle influenze ed alle pressioni locali. Non si può esercitare una
tutela uniforme sul territorio nazionale e lasciare chi deve esercitarla sotto i condizionamenti dell'ambito politico, economico e sociale locale.
Incontrando, in questi giorni, i sovrintendenti, ho ricevuto le loro richieste; troppo spesso ho esaminato relazioni di sovrintendenti - vicenda
emblematica è quella di Imola - che erano il trionfo dell'ambivalenza: si tratta di persone che hanno tutte le competenze e le conoscenze
tecniche ma che poi oscillano, esposti al turbinio degli interessi localistici. Vedremo mai un magistrato sottoposto a tutto ciò? Certo,
sono stati girati anche film su questo argomento, ma ciò rivela una patologia, non una fisiologia, perché il magistrato deve essere
svincolato dagli interessi localistici. L'analogia con l'ordinamento giudiziario serve anche ad affermare qualcosa riguardo al sistema dei
ricorsi. Uso tale analogia in modo cosciente, perché chi si occupa dell'attività di tutela non è inserito nell'ordinamento giudiziario, ma
dovrà assomigliare sempre più a chi svolge funzioni giudiziarie, dal punto di vista dell'autonomia, della formazione e della competenza ed
anche dal punto di vista del sistema dei ricorsi. Quanto più si raggiungono posizioni di vertice, tanto più la formazione professionale e
l'esperienza devono essere maggiori. Si dà invece il caso di un signore che svolge la professione di politologo alla Bocconi e che non è in
grado di stabilire la congruità del buco che rimane sulla piazza di Imola se si sposta il monumento, ma neppure vuole saperne nulla,
perché pensa che sarebbe sbagliato arrogarsi la facoltà di giudicare della sua bellezza. Parlo ovviamente di me stesso. Per ora però
questo potere è attribuito al ministro, con una incredibile forzatura: naturalmente, collega Colasio, estremizzo il mio ragionamento allo
scopo di una maggiore chiarezza espositiva. I fatti rivelano una natura più problematica ma anche forme di equilibrio maggiore. Vorrei solo
evidenziare i rischi della situazione in cui ci troviamo perché dobbiamo legiferare contro di essi, in modo tale da non consentire il
permanere di ambiguità.
Potrei proporre esempi anche per quanto riguarda l'attività di promozione e valorizzazione, che la legge prevede ma per le quali - ecco il
tema della riforma mancata - non abbiamo le strutture: a volte i sovrintendenti meritano grande ammirazione e gratitudine ma, in realtà,
non hanno competenze in materia.
Parliamo spesso di outsourcing, che sarà uno strumento riguardo al quale dovremo prendere decisioni in futuro (non intendo
necessariamente l'outsourcing di un museo, ma certamente quello dei servizi): avete mai saputo che qualcuno, nelle sovrintendenze, ha
seguito un corso sul modo in cui si stipula un contratto adeguato ai fini della tutela, in materia di outsourcing di alcuni servizi? Le
polemiche diventano alla maniera della «Secchia rapita» ogni volta che si debba decidere di installare un impianto elettrico: per tre anni
ho diretto l'Istituto di politica internazionale a palazzo Clerici, a Milano, dove è esposto il dipinto di Tiepolo più grande che esiste al
mondo. Per due volte, prima il vertice italo-tedesco e poi quello italo-francese sono stati paralizzati perché non si riusciva a stabilire dove
posare le prese elettriche per illuminare meglio la stanza. Mi rendo conto della delicatezza della vicenda, ma è anche inutile parlare
senza possedere le competenze tecniche, culturali e specialistiche.
I sovrintendenti chiedono inoltre di essere liberati dalle funzioni di gestione del personale: in parte, la legge ora le affida ai sovrintendenti
regionali, spostandole dalla padella alla brace, perché nemmeno i sovrintendenti regionali hanno competenza adeguate. Da questo punto
di vista, però, sarà utile l'applicazione di una parte della riforma Bassanini, che prevede la possibilità di affidare molte competenze in
materia lavoristica ed amministrativa ai prefetti, che in sede provinciale possono assumere, attraverso l'offerta di servizi all'intera
amministrazione (e quindi anche al settore dei beni culturali), questo tipo di servizi. Esistono due esperienze di questo tipo, una a Pisa
ed un'altra che si sta avviando in una provincia lombarda. Per ora, quelli richiamati, sono due settori che gravano pesantemente sui sovrintendenti e per i quali essi non hanno le competenze, la formazione, il cursus.
In relazione al tema della riforma mancata, vorrei dire, collega Rositani, che è necessario interessarsi delle questioni strutturali: in caso
contrario, dovremmo proseguire il lavoro nel modo in cui era già stato impostato. Il Ministero dei beni e delle attività culturali si occupa di
temi esaltanti, ma è anche vero che - il collega Rositani, per ragioni anagrafiche, lo saprà meglio di altri - il procedimento legislativo di
costituzione e di crescita del ministero, fino alle leggi Bassanini, non è stato coerente, attraverso tappe sperimentate, ma ha seguito un
percorso accidentato. Oggi siamo ancora in tale situazione. Gli argomenti di carattere analitico potrebbero essere infiniti: ho redatto un
inventario di alcune pagine dopo aver lavorato dieci giorni, esaminando le leggi e discutendo con i direttori generali del ministero e con i
sovrintendenti. Vorrei allora proporre un esempio di carattere generale a proposito del turismo. Tutti sanno che in Italia beni culturali e
turismo sono comparti strettamente interdipendenti e complementari, ma la riforma Bassanini ha collocato il turismo tra le attività
produttive. La conclusione è che stiamo correndo il rischio di non valorizzare beni culturali e turismo, l'uno a vantaggio dell'altro: per
ovviare a ciò, nel prossimo Consiglio dei ministri verrà decisa la costituzione di un comitato interministeriale competente sulle questioni
riguardanti il rapporto tra turismo e beni culturali e su quelle relative alle infrastrutture per i beni culturali e per il turismo necessarie per la
loro fruizione (ad esempio i parcheggi). Il problema del turismo è un esempio di ciò che intendevo per questioni strutturali urgentissime da
affrontare.
Ho già detto del rapporto tra Stato e regioni, e quindi non ci torno sopra, ma avrei un elenco molto nutrito di questioni puntuali, caso per
caso, che dovremo affrontare ma che si presentano molto problematiche. Mi limiterò a citare due esempi di diversa entità cominciando
dal minore.
Ricordo il momento in cui Giovanna Melandri, passandomi le consegne con grande cortesia, mi diede in particolare una cartellina con su
scritto «Credito sportivo» insieme ad un'istruttoria riguardante la situazione a livello di Commissioni parlamentari, pareri e compagnia
bella; ebbene, poche ore dopo è arrivata la notizia che eravamo stati chiamati davanti al TAR per una impugnazione, da parte delle
banche aderenti al Credito sportivo, rivolta a decidere la nullità del provvedimento ministeriale in base al quale si stabiliva il riordino del
Credito sportivo. Anche qui non entro nel dettaglio, ma devo dire che sarebbe interessante per capire come a volte nascano dei problemi
forse senza che uno se ne renda conto; ma la conclusione è che noi, fino al 7 novembre (data in cui è stata fissata l'udienza) abbiamo
questa grossa spada di Damocle sul Credito sportivo che non sappiamo bene che fine farà perché, se il provvedimento ministeriale verrà
dichiarato nullo, è una cosa, se invece verrà accolto il ricorso da parte del ministero, e quindi rimarrà in piedi il nuovo assetto, è un'altra.
Sarebbe molto importante per noi mettere subito mano al Credito sportivo perché lo sport sta incontrando notevoli problemi finanziari.
A questo proposito, tengo molto a dire che mi batterò totalmente perché vi siano risorse finanziarie per la diffusione delle pratiche
sportive, ma con me presente non partirà una lira per lo sport professionistico, perché se lo sport professionistico è gestito male sono
fatti loro: pagano quelli che sbagliano! Non ho nessuna intenzione, come ministro, di concedere una lira che è una lira per lo sport
professionistico. Ma per la diffusione delle pratiche sportive sì: mens sana in corpore sano. Le tabelle internazionali dimostrano che
rischiamo di avere dei giovani intellettualmente poco sviluppati perché fanno poca ginnastica. A parte il fatto che oggi questo principio non
vale più solo per i giovani ma anche per gli anziani, quindi è importantissimo; ma la conclusione è che il Credito sportivo lì si è bloccato. Così com'è strutturato, infatti, è uno strumento assolutamente inadeguato per quei
fini; si prevedono mutui per gli impianti, ma noi abbiamo bisogno di un volano ben diverso: se lo confrontiamo con i meccanismi finanziari
esistenti in Germania, Francia e Spagna, viene la pelle d'oca.
Considerate che sto parlando di quattro banche soltanto, e che vi è una potenzialità enorme sotto tutti i profili del business, ma purtroppo
è rimasta quella «strutturina asfittica» risalente a quando non ve ne era la necessità perché provvedeva a tutto «san» Totocalcio. Si è fatto
riferimento allo sport, ma in ogni caso prima di interessarmi di altre questioni devo occuparmi dei problemi strutturali (se no, che
amministratore pubblico sarei?).
Avevo annunciato un altro esempio, e mi riferisco a Pompei. Rispetto a cinque anni fa, dal punto di vista del numero dei visitatori e della
cosiddetta, tra virgolette, promozione e valorizzazione, direi che qualcosa si è fatto.
Stiamo parlando, infatti, di un sito archeologico in cui il numero dei visitatori cresce semestralmente in maniera rilevante, quindi è una
bella cosa, ma gli aspetti positivi finiscono qui. Dei vari problemi che affliggono questo sito avrete avuto tutti sentore dalle pagine dei
giornali, compresa una recente inchiesta del Corriere della Sera. Mi riferisco in particolar modo a due questioni che dovrebbero
terrorizzarci: una è il rischio di degrado sistematico e l'altra è il numero dei siti fruibili (interni al museo archeologico ed aperti al pubblico)
che diminuisce a vista d'occhio invece di aumentare; questo perché i tutori, nelle condizioni svantaggiate in cui si trovano, sono costretti a
chiuderli per non correre rischi. Ma così facendo le ville aperte sono diventate numericamente la metà. Pompei è una gallina dalle uova
d'oro in tutti i sensi, che però pone problemi strutturali di questo genere.
In occasione della mia prima riunione con i sindacati, ho scoperto alcune delle ragioni per le quali erano state promosse determinate
attività sindacali, che non sono veri e propri scioperi ma che, di fatto, intralciano le normali attività del sito. Anche lì purtroppo ho scoperto
una Babele; le sigle sindacali, tra parentesi, sono in numero decisamente troppo alto (ma questo dipende da chi vuole farsi rappresentare
da uno piuttosto che da un altro). Sottolineo ciò perché con un tale livello di frammentazione è difficile dialogare con le parti. In ogni caso,
al di là di questo, sono riuscito - grazie anche a un po' di fortuna - costituendo un tavolo di lavoro, che si riunirà per la prima volta il 2
agosto, a bloccare le agitazioni sindacali. Siamo di fronte ad un settore nel quale bisogna lavorare ad alto livello. È stato nominato un city
manager emiliano, del quale devo dire di essere un ammiratore, trattandosi di una persona molto perbene, molto capace, e stavo per dire
con grande pazienza, che però ormai si è esaurita, nel senso che non ce l'ha più; è in rotta di collisione totale con le rappresentanze
sindacali di Pompei ed ha gentilmente presentato le dimissioni; è una persona, tra l'altro, con una grande cultura musicale che ho avuto
modo di constatare in altra sede, essendo parte importante del comitato dei Verdi. Mi ha fatto piacere conoscerlo, ma ho capito subito -
e ci voleva poco - la ragione per la quale non ha legato con quel contesto: non ha una expertise specifica nel mondo dei sindacati
campani! E, come sapete, quello è un genere a sé: chiunque conosca un pochino di storia delle relazioni sindacali sa che è un altro
mondo; forse, se vi avessimo messo uno svedese egli avrebbe avuto una conoscenza delle tecniche ma avrebbe dimostrato scarsa
conoscenza del diritto positivo e, soprattutto, nessuna conoscenza dell'antropologia, che serve molto per stabilire rapporti costruttivi in un
mondo difficile come quello.
Pompei oggi sta oscillando fra essere una meravigliosa opportunità o essere una vetrina negativa che ci distrugge; se i giornali stranieri -
con cattiveria - proseguono nella strada che hanno imboccato la settimana scorsa, corriamo grossi rischi: se si diffonde l'immagine che Pompei è il luogo dove vi è il massimo numero di cani randagi che mordono le persone, il massimo numero di scippatori, un posto dove i servizi sono disastrosi e, soprattutto, dove si corre il rischio di fare migliaia di chilometri per giungervi e trovare tutto chiuso, allora capite che Pompei rischia di diventare un boomerang clamoroso.
Mi sono limitato, come promesso, all'illustrazione dei maggiori problemi strutturali, perché sono quelli che fanno la differenza essendo
caratteristici del meccanismo di lavoro quotidiano che va dai sovrintendenti agli addetti ai cantieri: vi ringrazio per l'umiltà e la fattività, ma
qui stiamo parlando dell'ossatura, del sistema nervoso e di quello circolatorio. Il resto sono cose secondarie di cui, per carità, ci
occuperemo, ma vengono dopo in tutti i sensi.
Avevo annunciato che avrei speso alcune parole su quella che avevo definito mancanza di bussola (usando tinte forti, e mi scuso con il
collega Colasio che, probabilmente, come me ama le tinte pastello).
Manca una bussola, perché manca una chiave di lettura culturale e complessiva dei compiti del ministero, che ha attribuzioni in materia
di tutela, di promozione, di valorizzazione. Credo che nessuno, anche riguardo allo spettacolo, si accontenti della condizione dei nostri
teatri, del cinema (che però forse sta attraversando una stagione di parziale ripresa), della musica. Mi ero interessato, dialogando con l'ex
ministro Veltroni, alla legge sulla musica, che ha avuto un esito veramente negativo, nel senso che non ha accontentato nessuno.
L'onorevole Giulietti diceva che ciascuno di noi è un uomo di parte: nel caso della musica non è così, perché tutti dicono che quel
provvedimento è da rifare.
Il ministero ha dunque molti compiti di promozione, valorizzazione, attrazione di risorse pubbliche e non: se è vero che disponiamo di un
patrimonio mondiale, perché il nostro meccanismo finanziario privilegia ampiamente le risorse pubbliche, un po' di risorse private e quasi
ignora le risorse dell'umanità, cioè quelle provenienti dall'estero? Abbiamo constatato che cosa successe quando Venezia fu in pericolo:
è facile attrarre altri interessi.
Dobbiamo svolgere le funzioni che la legge ci ha attribuito: il motore per dare forza e vitalità a tutti questi compiti è il lavoro sulla
comprensione dei beni culturali. Essi sono beni - come li definisce la commissione Franceschini - in quanto sono testimonianze di civiltà:
lo è ogni libro, manoscritto, monumento o quadro che ognuno di noi possa giudicare bello ed importante, riconoscendogli il valore di bene.

Può sembrare l'uovo di Colombo, ma la tutela è più facile dove c'è un forte apprezzamento dei beni culturali ed essi sono considerati un
tesoro. Il sovrintendente è considerato uno scocciatore se pone dei vincoli: non un magistrato che ci fa un grande favore, una personalità
da ringraziare, ma solo un rompiscatole. La domanda di tutela è in funzione del valore che si assegna ai beni ed alla comprensione della
testimonianza di civiltà. Considero un eroe chi svolge la funzione pubblica della tutela. L'aspetto della comprensione è fondamentale
anche per creare domanda economica: ci si reca agli Uffizi perché si attribuisce grande importanza alla bellezza estetica, emotiva,
culturale, sentimentale alla Venere di Botticelli. Qualche tempo fa un giornale di Milano ha pubblicato il resoconto di un concorso svolto
tra i bambini di una scuola di quella città - che assomiglia molto al libro scritto da quel maestro napoletano che descriveva gli strafalcioni
dei propri alunni - da cui emergeva, attraverso domande sulla sicurezza dello stadio e del Duomo, la preferenza e l'apprezzamento dei
bambini per lo stadio di San Siro piuttosto che per il Duomo.
Capisco l'interesse per il calcio domenicale, ma non capisco come si possa non attribuire importanza al simbolo di Milano che, fino a
qualche generazione fa, insieme al panettone, era il Duomo (e i bambini lo percepivano): ciò restituisce l'idea della connessione
snaturante che esiste tra basso livello di comprensione e apprezzamento, bassa domanda di fruizione, bassa domanda di tutela. Si tratta di un circolo vizioso che deve essere spezzato, innescando un circolo virtuoso della formazione che induca e faciliti la comprensione e quindi l'apprezzamento, la tutela, la valorizzazione, la domanda
economica di fruizione. Se lavoreremo su questo piano, assolveremo ad un nostro dovere.
Mi fa grande piacere visitare i cantieri (ieri sono stato a Pisa), lo trovo commovente e bellissimo; rispondo all'onorevole Melandri, che mi
chiedeva informazioni riguardo ai grandi progetti, che essi verranno completati, così come i 200 cantieri: il fatto che io sia o meno
presente in quei luoghi non cambia la realtà dei fatti. Venerdì abbiamo verificato tutto ciò che potrà accadere riguardo alla Venaria Reale,
stiamo discutendo con i presidenti delle regioni. La legge contiene in nuce la previsione, tipica di uno Stato federale, che la funzione di
tutela sia attribuita quasi completamente al Governo federale e, in prospettiva, i compiti di gestione (delimitati dalle regole della tutela)
dovranno essere, in massima parte, attribuiti agli enti locali ed alle regioni. La legge contiene già questa previsione implicita, si tratta di
perfezionarla e migliorarla: la bussola è già stata individuata. Naturalmente, dobbiamo predisporre una funzione di tutela in grado di non
farci correre rischi.
La collega Titti De Simone, nella seduta precedente, mi ha accusato di liberismo: ha ragione, è una accusa che accetto volentieri. In
prospettiva, possiamo anche immaginare l'outsourcing della gestione ad imprese specializzate; la tutela allora dovrà essere potenziata in
termini tali per cui, stipulando un contratto di concessione, si dovrà essere sicuri che il bene sarà valorizzato e non messo a rischio.
Dobbiamo prepararci per questo scenario futuro: vi confesso che oggi, per le ragioni che ho prima esposto citando i problemi strutturali, le
condizioni non lo consentono.
Per svolgere le funzioni che ci siamo prefissati, dobbiamo far comprendere ed apprezzare i beni culturali. La commissione Franceschini
ha usato la bella definizione dei beni culturali come testimonianza della civiltà di un popolo, anche se, naturalmente, esiste anche il tema
della contemporaneità. Pensate seriamente che si possa far risaltare il collegamento tra un quadro, un monumento, un oggetto d'arte e la
storia delle civiltà d'Italia, se solo il 3,5 per cento del paese distingue tra barocco, romanico e gotico? Pensate sia possibile dirimere i
problemi relativi alla collocazione di una scultura moderna, accanto ad altre opere del passato, se la domanda di tutela, di valorizzazione,
di promozione è del genere che conosciamo? Oppure se i cittadini considerano ogni duomo in Italia come quello di Siracusa, che è un
caso unico al mondo di compresenza di stili (parti delle colonne sono i stile greco, romano, romanico, barocco)? Vogliamo far diventare il
Duomo di Milano come quello di Siracusa? No, ma allora dobbiamo stabilire una comprensione di questi argomenti sufficiente al nostro
scopo.
Risalta la differenza tra le sale da concerto di un qualsiasi paese dell'Austria o della Germania e le sale da concerto, di qualsiasi città,
anche maggiore, in Italia: esistono gradi di silenzio diversi per ascoltare la musica. La risposta ai nostri problemi si trova nel coltivare,
democraticamente, la cultura dei beni. Altrimenti, recupereremo in parte ma procederemo al buio, nella disputa su Vangi o in quella sui
finanziamenti. Non eserciterò la funzione di ministro dei beni e delle attività culturali al buio.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro dei beni e delle attività culturali e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.20.